domenica 7 novembre 2010

La supernova Mainländer e la cadaverizzazione di Dio


Philipp Mainländer è un filosofo dell'Ottocento di cui, nella storia, non rimane quasi traccia. Questa quasi totale scomparsa - quasi - non è del resto assolutamente casuale. Mainländer appare, in fondo, nell'atto stesso della sua scomparsa. In verità, egli è una delle figure più affascinanti del sottobosco geisterphilosophich della storia della filosofia. Una nullità, al limite. Apoteosi della nullificazione.
Alcune indicazioni bibliografiche (ed invero archeologiche) sul suo conto: a lui Franco Volpi dedica alcune pagine del suo Il nichilismo (Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 40-42), raccogliendo egli stesso le poche informazioni che riporta da Müller-Seyfarth (a cura di), «Die modernen Pessimisten als décadents». Von Nietzsche zu Horstmann. Texte zur Rezeptionsgeschichte von Philipp Mainländers Philosophie der Erlösung, Königshausen & Neumann, Würtzburg 1993; Id., Metaphysik der Entropie, Van Brennen, Berlin 2000 (di cui Volpi ha curato la prefazione); G. Invernizzi, Il pessimismo tedesco dell'Ottocento. Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen e Mainländer e i loro avversari, La Nuova Italia, Firenze 1994; e M. Pauen, Pessimismus. Geschichtsphilosophie, Metaphysik und Moderne von Nierzsche bis Spengler, Akademie, Berlin 1997.
La sua principale opera, invece, è Die Philosophie der Erlösung, del 1876. L'impatto di quest'opera è pressocché nullo sulla storia della filosofia, ma un po' più che nullo: il 6 dicembre 1876 Nietzsche scriveva da Sorrento (a Overbeck) che, dopo aver molto letto Voltaire, sarebbe stata la volta di Mainländer. Cosa vi abbia letto il buon Nietzsche in quel testo, è presto detto: niente poco di meno che la tesi della "morte di Dio". Ecco qui: quasi tutto Nietzsche è racchiuso in una fugace piega di nullità - Mainländer! (Si badi bene: quasi).
Di cosa si tratta? - Mainländer è un appassionato lettore di Schopenhauer e Leopardi (entrambi scoperti durante il soggiorno a Napoli, dove visse tra il 1858 e il 1863 - significativo: "vedi Napoli e poi muori", anche Jim Morrison lo aveva annotato, come a dire che Napoli è città uterina, omphalos col mondo ctonio, soglia dell'Ade, valvola di riflessione tanatologica) che, prendendo a modello Il mondo come volontà e rappresentazione, fonda il suo pessimismo su un principio ontologico molto semplice: «il non essere è preferibile all'essere». Come Schopenhauer, egli ritiene che non ci è dato vivere se non in un mondo di apparenze, la "cosa in sé" kantianamente sfuggendoci in maniera costitutiva. La cosa interessante, però, è che, mentre per Schopenhauer la cosa in sé è identificabile con la Wille zum Leben, per Mainländer essa è identificabile con la Wille zum Tode - la volontà di morte sarebbe, secondo Mainländer, il principio, individuale, che sta alla base di tutti gli esseri. Di tutti gli esseri - Dio compreso.
Ecco l'apoteosi del nichilismo, l'ipotesi teologico-metafisica proposta da Mainländer: «La volontà di morte che inerisce a tutto l'essere dipende dal fatto che la sostanza divina - concetto che egli riprende da Spinoza - trapassa dalla sua originaria unità trascendente alla pluralità immanente del mondo, il quale, in tale trapasso, ha la propria genesi» (F. Volpi, op. cit., p. 41).
In altre parole, ovvero con le stesse parole di Mainländer: «Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo».
Abbiamo così un perfetto sconosciuto che, prima di Nietzsche, e forse molto più profondamente, aveva intuito l'assurda vertigine del nulla cosmico. Nichilismo assoluto. Pura genialità: la vita del mondo non è altro che il riflesso della morte di Dio. Più ancora: il mondo, il cosmo, il creato, non sono frutto di creazione personale di Dio, ma effetto della sua cadaverizzazione. Ecco: ci muoviamo tra i resti sparsi del cadavere in decomposizione di Dio. E la materia non è null'altro che la carne morta, il soma cadaverico di Dio.
Ma di più: la cadaverizzazione di Dio è in verità un'autocadaverizzazione, poiché appunto Dio stesso non può che seguire il principio universale (individuale) della Wille zum Tode. Egli trapassa, quindi, per seguire il suo divino impulso alla morte. In verità, l'essenza del principio divino ci è preclusa costitutivamente, secondo Mainländer, ma da un punto di vista regolativo possiamo considerare l'origine del mondo «come se essa fosse il risultato di un atto di volontà motivato»: Dio segue il suo impulso a dissolversi nell'immanenza del mondo, la sua tomba, la sua negazione, puro non essere. Non vi è dunque, a rigor di logica, una genesi, ma solo più una morte, e l'assurda volontà di Dio di farsi nulla. Ciò che si manifesta nel mondo, nel momento stesso in cui si manifesta, manifesta in fin dei conti questa stessa volontà di autoannullamento (Selbst-ver-nicht-ung). Ogni cosa è come una supernova, che si mostra nel momento stesso in cui è scomparsa (o meglio: il cui apparire è solo più il fantasma della sua scomparsa, perduta già in milioni - miliardi - d'anni luce nelle profondità abissali del nulla cosmico). Vertigine estrema d'una «metafisica dell'entropia», da cui Mainländer fa scaturire tutte le conseguenze del suo sistema filosofico: la storia è sottoposta alla legge universale del dolore, la sua etica sostiene la massima della verginità e «raccomanda il suicidio come radicale negazione della volontà» (F. Volpi, op. cit., p. 42) per ottenere infine la redenzione (Erlösung: as-soluzione, dis-soluzione, anche, evidentemente) dall'esistenza.
E così, nella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile del 1876, appena ricevuta la prima copia della sua opera, il buon Mainländer pensò bene di realizzare il suo scherzo estremo, di compiere l'essenza stessa della supernova: scomparire, nel momento stesso in cui appariva il frutto del suo parto - la sua opera come la sua stessa autocadaverizzazione.
In questo gesto fu seguito nel 1891 da Minna, sua sorella, che con lui aveva composto il dramma Gli ultimi Hohenstaufen, e che aveva pubblicato nel 1886 alcuni saggi del fratello come secondo volume dell'Erlösung.
Si compie così, definitivamente, l'atto di scomparsa del genio che riproduce, facendosi egli stesso, il gesto di Dio, secondo una consequenzialità che, bisogna ammetterlo, ha dell'eroico.
In questa vertigine del pensiero è possibile dunque ravvisare tutto Nietzsche? Quasi - quasi: certo, bisogna ammettere che c'è qualcosa di estremo in questo pensatore che indurrebbe a ridimensionare lo stesso Nietzsche dell'eterno ritorno. Sennonché il buon Nietzsche, a differenza di Mainländer, nota subito che qui si dà uno scacco: un'ingenuità - fatale, invero - che, alla fin fine, lascia davvero il «teutonico "persuaditor di morte"» (F. Volpi, op. cit., p. 43) sull'orlo silente della nullità. Nietzsche vi intravede subito, come per Schopenhauer, la Wille zur Macht di un decadente, la volontà di una potenza malata, il nichilismo debole di un pensatore insano che cerca la morte, infine, per disperata affermazione del proprio ego.
Mainländer ha indubbiamente spinto all'estremo la propria capacità di pensare e di guardare nell'abisso. Ma quando si va a questi estremi, bisogna rigorosamente essere estremi fino in fondo. È proprio l'individualismo della sua Wille zum Tode a fungere da spia per cogliere l'ingenuità di Mainländer (e forse si può avanzare l'ipotesi che fu proprio questa ingenuità a mettere in guardia Nietzsche nei confronti dello stesso Schopenhauer).
Il quale indubbiamente va posto tra gli antesignani della Geisterphilosophie, per l'acume della sua riflessione. Ma, come sempre accade in ambito geistlich, rovesciato. Alla fin fine, benché egli professi un "ateismo scientifico", è proprio la religiosità del suo impianto a farlo scivolare: egli, in fondo, non fa che professare una fede al contrario, una fede nella morte, assolutamente speculare alla fede nella vita eterna del vecchio cristianesimo. Egli vuole, alla fine, «guardare negli occhi il Nulla assoluto». Pura mistica nichilista. Ovvero estremo compimento di quella decadenza del nichilismo che non a torto Nietzsche ravvisava all'origine stessa del cristianesimo - della volontà di potenza del cristiano.
In fondo, Mainländer dice "nulla", ma ha in mente il Dio dei cristiani: dice "nulla" ma ha in mente una volontà, un immane ego trascendentale che trascendendo per volontà individuale si immanentizza nel proprio cadavere. A rigor di logica (e bisogna essere rigorosissimi su tali incerti terreni) bisogna ammettere che non si può guardare negli occhi il Nulla assoluto: per il semplice fatto che il Nulla non è e non può essere. Non c'è proprio un bel nulla da poter guardare negli occhi: né un Dio, né tanto meno un Nulla.
E tutto questo ci porta a riflettere un momento sulla Geisterphilosophie e, per inciso, a sottolinearne tutto il portato gioioso: la Geisterphilosophie potrebbe facilmente essere fraintesa per una "filosofia della morte", per una italiana versione del nichilismo mainländeriano. Tutt'altro, invece: la Geisterphilosophie attua piuttosto un raggiro tattico, proprio onde evitare di incrociar lo sguardo con simili chimere del Nulla, proprio onde aggirare lo scacco metafisico. Né professa fedi nichilistiche. Né si ferma alla semplice vertigine metafisica, ma la rilancia nel vortice ermeneutico del rovescio della riflessione geisterphilosophich.
Ecco: perché fermarsi alla morte di Dio? Perché fermarsi alla semplice ipotesi di Dio? Ancor più decisamente: perché ipotizzare un Dio entificato nella volontà - sia pur volontà di morte? Andiamo fino in fondo, piuttosto, fino a sfondare questa vuota membrana del Nulla. Non solleviamo più alcun velo di Maya. Piuttosto, se proprio dobbiamo, prendiamo Maya alle spalle. Ecco allora: la "genesi" del mondo è la cadaverizzazione del nulla. Non di Dio. Nemmeno del Nulla. Il cosmo è piuttosto la cadaverizzazione di nulla. Esso non è che il fantasma del nulla originario, Big Bang di un vuoto assoluto, "uovo cosmico" racchiuso in un punto di vuoto. Ma questa cadaverizzazione del nulla è appunto null'altro che il rovescio della nullificazione. L'Essere non è null'altro che il fantasma del Nulla. Meglio: l'essere è il fantasma di nulla. Come supernove, le cose appaiono come fantasmi della propria scomparsa.
Fantasma della propria dissolvenza - s'intende tutto il senso di questo rovescio?...

Diego Rossi

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