Il bicchiere mezzo pieno
Ricordate la campagna
pubblicitaria della Ferrarelle di qualche anno fa? Quella del bicchiere
mezzo pieno, per intenderci. Romantica, suasiva, elegante, efficace.
Si può notare una
somiglianza fortissima con la campagna pubblicitaria della Fiat che avevamo già
analizzato in questo laboratorio
(http://proiezionifantasmatiche.blogspot.it/2013/04/spot-fiat-500-2007.html). In effetti siamo
sullo stesso terreno: entrambe puntano su una forte emozionalità; entrambe
utilizzano immagini (in cui il bianco e nero svolge un ruolo chiave) cariche di
significatività psicologica; entrambe hanno un testo molto lirico, sottolineato
da una musica semplice, romantica, molto suggestiva, stile Final Fantasy, per intenderci…
Ebbene, in entrambi i
casi, ci troviamo su quel terreno in cui la pubblicità smette di essere reclame, smette di essere cioè un mezzo
di diffusione pubblica di un prodotto, per diventare veicolo di un immaginario,
costruzione (artistica) del reale. Come scrive Stefano Marchesi sul suo blog
dedicato alla comunicazione, «Quando un marchio, un prodotto varcano gli
immaginari confini del settore di riferimento per avventurarsi in territori
inesplorati, diventano un’icona. Attraverso questo processo sfoderano la
propria potenza commerciale, la forza della propria storia e del background
aziendale» (http://stefanomarchesi.wordpress.com/2009/10/22/il-bicchiere-mezzo-pieno/).
Siamo su questo terreno:
la Ferrarelle, come prima la Fiat, svincolata dalla necessità di reclamizzare
un prodotto che ormai è divenuto parte integrante della struttura sociale,
divenuta cioè un marchio che di fatto costituisce un ente in sé e per sé e non
più solo una ditta di produzione di un dato ente, passa ad una nuova fase della
comunicazione pubblicitaria. Entra, cioè, in quella sfera della pubblicità che
rivela l’essenza più propria della pubblicità stessa e che va ad agire
direttamente sugli archetipi, sull’inconscio collettivo, sull’opinione pubblica,
anche – e che insomma costruisce l’immaginario collettivo.
«Quando un brand si
trasforma in una filosofia di vita», scrive Marchesi a conclusione del suo
articolo Il bicchiere mezzo pieno.
Benissimo. Vogliamo
interrogarci allora su quale sia la filosofia di vita che questo spot vorrebbe
veicolare?
Il testo dello spot
recita:
A tutti coloro che vedono
questo bicchiere mezzo pieno, e non mezzo vuoto
e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono,
a chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua,
e si sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di scegliere.
A chi si sente speciale nel vedere ciò che ha, e non quello che gli manca.
A tutti coloro che vedono la loro unicità
come un bicchiere mezzo pieno.
Ama chi sei e nessuno sarà mai come te.
(Gli ultimi due “versi”,
in corsivo, sono quelli che vengono recitati nello spot breve. L’ultimo è,
ovviamente, lo slogan).
Ovviamente, non è che la
filosofia di vita venga veicolata soltanto dal testo. Si vede bene che il
testo, letto senza il supporto di musica e immagini, risulta quanto mai
spoglio, veramente goffo, quasi, come una poesia scritta da un ragazzino delle
scuole medie. È dunque evidente che l’efficacia dello spot non sta nella
qualità del testo. E tuttavia, la pochezza di queste frasi è, ovviamente,
funzionale all’economia generale dello spot: se fossero più belle, più
complesse, sarebbero anche più difficilmente assorbibili, e non sarebbero
vettori efficaci. La loro efficacia consiste dunque nella banalità, veicolata
subliminalmente per mezzo dell’abbinamento alle immagini e alla musica,
diventando in questo modo chiave di
apertura di un intero orizzonte – vuoto – di significato, ciò su cui può
facilmente far presa l’immaginario di ciascuno. Questi messaggi sono, al pari
dei virus, pacchetti minimi di informazione, quintessenziali, al limite nulli
(al limite, ma un tantino più che nulli), per cui passano senza problemi e
s’attivano solo a contatto col materiale inconscio, proprio come quei virus che
in ingegneria genetica vengono usati a mo’ di vettori per inoculare particelle funzionali di acido nucleico. Sono
vettori minimi che, adattandosi, modificano il contenuto della cellula, quel
tanto che basta.
Sì, è già chiaro dove ci
porta questa metafora, ed è proprio ciò che a noi interessa eviscerare. Dunque
non accontentiamoci della metafora. Analizziamo il testo, che è ciò che
esplicita la filosofia sottostante allo spot. Cercheremo tuttavia di farlo
tenendo presente la sottolineatura delle immagini, peraltro molto precisa.
In primo luogo, però,
occorre chiarire un momento che cosa si intende per filosofia di vita. In
genere, nel linguaggio comune, si parla di filosofia di vita per indicare un
certo approccio personale nei confronti del mondo. Si può avere una filosofia
di vita pragmatica, realistica, materialistica ovvero più contemplativa,
spirituale, idealistica e così via. Qualcosa che ha a che fare con la
differente “natura” di ognuno. Molto semplicemente, la filosofia di vita
implica una certa scala di valori, una griglia – formata dall’educazione, dalle
esperienze personali, da un insieme di riflessioni e giudizi – entro cui
interpretare il mondo e la propria posizione nel mondo. La filosofia di vita è
una Weltanschauung, una certa
“visione del mondo”, o meglio un’immagine interpretativa del mondo che ci
circonda.
Quando, dunque, si dice
che un certo brand, nella fattispecie la Ferrarelle, si trasforma in una
filosofia di vita, è implicato tutto questo: s’intende allora che la Ferrarelle
si propone come simbolo di una certa filosofia di vita, chiave d’accesso ad una certa visione del mondo.
Soffermiamoci sul senso di
questa chiave, poiché già qui si
gioca tutta la portata di questa – e simili – pubblicità. Da un lato, nel
proporsi come simbolo, infatti, la Ferrarelle sembra voler ritagliare una fetta
di mercato: chi si riconosce in quel simbolo, tenderà a comprare la Ferrarelle.
L’idea è questa. Ma il gioco è in verità molto più sottile. Poiché, nel mentre
si propone, la Ferrarelle – come ogni marchio della stessa stazza – si impone.
La chiave si inserisce ad incastro
per poter aprire, dischiudere un fondo virtuale, un
potenziale. La chiave diviene dunque (come un virus, questa chiave virtuale di
schiusura genetica) vettore di una
certa potenziale visione del mondo. Non avrebbe senso, altrimenti, per un brand
come la Ferrarelle, che già possiede un mercato pressoché saturo, volersi
ritagliare fette di mercato. È dunque altra l’operazione che svolge un simile
spot. Lo spot proietta (to spotlight) come una macchia (spot) d’olio, come un untore virale,
agendo al contempo come attrattore d’attenzione pubblica (spotlight), una ribalta (spotlight),
un riflettore (ancora, spotlight vuol
dire tutto questo) che proietta e diffonde una certa immagine del mondo,
impregnando di sé, per mezzo di questa chiave virale – ovvero virtuale – il
pubblico. Ecco: ciò è, innanzitutto, uno spot pubblicitario.
E nella fattispecie? Qual
è allora questa Weltanschauung
proiettata dallo spot della Ferrarelle?
Vediamo: in apertura, lo
spot mostra un bicchiere che viene riempito a metà. Chiave d’accesso immediata,
subito sciolta nella soluzione del rebus: «A tutti coloro che vedono questo
bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto». È una dedica. È un messaggio: “questo
messaggio è rivolto a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. È
rivolto? Cioè: esclude chi il bicchiere lo vede mezzo vuoto? È piuttosto
dedicato: “questo messaggio è dedicato (si
dedica, dedica una x, un qualcosa, cosa?) a tutti coloro
che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. Vi è qui un sottinteso. Una dedica.
Una dedica sottesa, sottintesa, a tutto lo spot. La chiave – mostrata –
consiste allora in questo non detto, in questo sottinteso che è già un
ammiccamento. A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno. È un
richiamo, in primo luogo. Un attrattore d’attenzione. “A tutte le unità”, come
nei b-movie americani, “a tutti
coloro che…” (sottinteso: “attenzione”). Sottintesa è, però, un’attenzione che
è una cura, che è una dedica, un rivolgersi che è un dedicarsi. Un dedicarsi a
tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno. “… E non mezzo vuoto”.
C’è un’esclusione? Si sottintende che la cura dello spot, l’attenzione riposta,
sia rivolta non a coloro che vedono il bicchiere mezzo vuoto? “A noi
interessano solo coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno, non quelli che
lo vedono mezzo vuoto”: è questo il sottinteso? Potrebbe. In effetti lo è. In
effetti lascia intendere che lo sia. Ecco l’ammiccamento: “dedicato a tutti
quelli che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. Sottinteso: “degli altri non
ce ne curiamo”.
Ma questa dedica,
quest’attenzione che è prima di tutto una cura, diviene immediatamente
prescrittiva: “di coloro che vedono questo bicchiere mezzo vuoto non ce ne
curiamo”. Cioè: “coloro che vedono questo bicchiere mezzo vuoto non sono degni
nemmeno dell’attenzione di uno spot pubblicitario”. Cioè, quindi: “questo
bicchiere è mezzo pieno, se lo vedete mezzo vuoto peggio per voi”. Il
sottinteso dell’attenzione è pertanto che si faccia attenzione: “attenzione:
questo bicchiere è mezzo pieno, guai a voi se lo vedete mezzo vuoto”; come la
cura e l’attenzione di una madre che minaccia di non voler più bene al figlio
discolo. Il sottinteso e l’ammiccamento – feroce, certo – sta nel fatto che la
madre fa solo finta di non voler più bene, cioè fa solo finta di non prendersi
cura: si prende cura, si dedica, in verità, tanto più con la minaccia. Con la
sottrazione della dedica, si sottintende la prescrizione negativa: “se vedi il
bicchiere mezzo vuoto non ti voglio più bene” – quindi: “attenzione, il bicchiere è mezzo pieno”. Ecco dunque: «a
tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto», è la
formula partecipativa, l’incipit
sotteso di un patto: “Attenzione! Attenzione! Questo bicchiere è mezzo pieno”.
Patto minimo d’intesa.
Resta sottinteso, celato,
il termine del patto, la dedica: “a patto
che vediate questo bicchiere mezzo pieno, avrete… (cosa?)”. Una dedica, dunque una cura – certo, questo è chiaro.
Avrete anche il bene della mamma. Ma nella fattispecie? Ecco, qui sta la
chiave: una promessa. Questo è il
sottinteso, che, in quanto promessa, non può che rimanere virtuale, dunque
implicito, non dichiarato. E questo non detto istituisce il patto di
partecipazione. È un vuoto da riempire a piacimento. È un’utopia, che
istituisce un patto che è un’appartenenza.
«E usano il tempo per
essere ciò che autenticamente sono».
È, forse, questa, la
specificazione della promessa?: «A tutti coloro che vedono questo bicchiere
mezzo pieno e non mezzo vuoto e usano il tempo per essere ciò che
autenticamente sono». Evidentemente no. È una specificazione, certo, ma non
della promessa. È il continuo dell’incipit,
la chiarificazione che si dà in nuce
in quell’attenzione, in quel richiamo incipiente all’attenzione: specifica cioè
la dedica, non la promessa di questa dedica. Specifica il chi cui è rivolto lo spot: «A tutti coloro che vedono questo
bicchiere mezzo pieno… e usano il tempo per essere ciò che autenticamente
sono». Sottinteso, sempre: “non agli altri”, cioè a quanti il bicchiere lo
vedono mezzo vuoto. Lo vedono mezzo vuoto e… c’è dell’altro, chiaramente, anche
qui. Dell’altro sottinteso. Qui entra in gioco la classica ambiguità della
congiunzione: “a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e (a
tutti coloro che) usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono”. Ma
quella “e” implica dell’altro:
implica un’identità. Implica che gli stessi che vedono il bicchiere mezzo pieno
sono (per ciò stesso) coloro i quali
usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono. E, viceversa, coloro che il bicchiere lo vedono mezzo vuoto sono
(anche qui, per ciò stesso) gli
stessi che il tempo lo perdono, che si perdono nell’inautenticità, che si
perdono in un bicchier d’acqua. Si compie così la prescrizione implicita nell’attenzione,
istituita nel patto di partecipazione: “attenzione: se non vedete questo
bicchiere mezzo pieno siete indegni d’attenzione perché sprecate il vostro tempo e vi perdete in un bicchiere
d’acqua”. La “e” diviene dunque,
nell’atto stesso di congiungere, complemento di specificazione: “l’attenzione,
la cura, è propria di chi non perde tempo, di chi non si perde in un bicchier
d’acqua – quindi, è propria di chi
questo bicchiere lo vede mezzo pieno”. Gli altri, coloro che lo vedono mezzo
vuoto, semplicemente sono superflui. Ci sono, ma non contano. Ci sono, ma è come se non ci fossero. Sono gli altri
– i non protagonisti. Sottinteso: voi
(tu) il bicchiere lo vedrete mezzo
pieno. Sottinteso: noi sappiamo che voi lo vedrete mezzo pieno. Qui si
ammicca, evidentemente. E in questo ammiccare si istituisce il patto.
Silenzioso (e tanto più efficace). Come un genitore che ammicca – o come un
amico: “Sì, lo so che tu vedrai questo bicchiere mezzo pieno. Ed è proprio a te
che mi sto rivolgendo. Di nessun altro mi curo”. Sottinteso: “sei l’unico ad
avere tutta la mia attenzione. Perché so che vedrai il bicchiere mezzo pieno”.
E non mezzo vuoto: “lascia pure che gli altri lo vedano mezzo vuoto. Tu lo vedrai mezzo pieno”. Sottinteso: “a patto che tu vedrai il bicchiere mezzo
pieno, riceverai tutta la mia attenzione speciale”. Il che vuol dire, nel
linguaggio della mamma: “suvvia, sii bravo; e ti prometto che…”. Va da sé che questa sospensione permane.
S’intende ch’essa è funzionale e strutturale. Tutto lo spot si regge su questa
sospensione. Ed è questa promessa implicita la chiave di tutto.
È significativo, intanto,
che alle parole «e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono»
corrisponda l’immagine di una donna che suona l’arpa. Immagine quanto mai
poetica: l’arpa, che rinvia alla cetra dei pitagorici, all’armonia di un tempo
che si sposa con la musica e dunque con l’anima e una donna che intesse,
suonando, i fili armonici del tempo, come un’Ora rediviva, simbolo dell’anima
interiore, simbolo dell’inconscio, che agisce direttamente sul proprio tempo
interiore. Un’immagine che suggerisce l’armoniosa, spontanea realizzazione di
sé – del sé più recondito, l’anima,
appunto, di contro all’animus
razionale che tenderebbe ad analizzare le cose in maniera fredda, obiettiva.
Invece di guardare alle cose dalla prospettiva del raziocinio (ciò che potrebbe
anche condurre a vedere il bicchiere, se non come mezzo vuoto, semplicemente
per quello che è: un bicchiere riempito a metà), l’immagine suggerisce di
guardare alle cose dalla prospettiva del sentimento. C’è una mamma buona che ti
suggerisce di prenderti cura di te stesso, di prendere in mano il tuo tempo e
dedicarti alle cose che ami, nella tautologia di essere ciò che autenticamente
si è. Ma l’immagine è, letteralmente, una dis-trazione.
Conduce l’attenzione altrove, sulla figura materna, rassicurante e armoniosa,
nel mentre il messaggio prescrittivo dice: “se non vedi questo bicchiere mezzo
pieno non potrai mai essere ciò che vorresti essere”. O meglio: “sei una nullità
(nemmeno degno di questo spot) se non vedi il bicchiere mezzo pieno”. E
l’immagine distraente è funzionale proprio a distogliere l’attenzione da quella
“e” carica di significato. Il
significato passa, ma direttamente sull’inconscio, sulla porta aperta dall’anima evocata dall’arpista (è sempre una
figura femminile che, nell’interpretazione archetipica dei sogni, dischiude
allo spazio dell’inconscio). È il segno che la fiaba è passata ad agire su un piano molto più profondo della
psiche.
E che siamo proprio in una
fiaba è reso evidente dalla scena successiva: è l’animus adesso, l’elemento razionale (il maschile) che si ritrova su
una spiaggia. Il mare non si vede, se non all’orizzonte – ma c’è. Si vedono
invece le impronte di mille percorsi. La spiaggia, paesaggio dell’anima per
eccellenza. Entro cui ci si perde – per ritrovarsi.
«A chi si è perso
percorrendo una strada che non è la sua».
Permane evidentemente
tutto il sospeso di cui dicevamo. La dedica continua, senza peraltro
specificarsi oltre. Si specifica invece – e s’approfondisce – ulteriormente il senso implicito
nell’avvertimento: “Chi vedrà questo bicchiere mezzo pieno è lo stesso che si è
perso (si perderà) percorrendo una strada che non è la sua”. L’immagine
suggerisce (anche qui, ovviamente, in una dis-trazione) l’abbandono del freno
inibitorio della razionalità. Qui l’animo, accompagnato dall’Ora di prima,
ovvero dall’anima, è entrato in un
territorio entro cui può sperdersi, disciogliendosi nell’inconscio. Entro cui
tutto è possibile, come ci suggerisce il sorriso dell’uomo (dopo un primo
momento di incertezza e preoccupazione, tipico dello smarrimento estraniante
che si prova a ridiscendere nel mondo ctonio della propria psiche) che
evidentemente è ben felice di perdersi. Qui non ci sono strade segnate, non c’è
una strada che si possa dire propria, c’è solo «… una strada che non è la sua».
Ma la “sua” di chi? Di quello stesso, evidentemente, che vede il bicchiere
mezzo pieno. Certo, ma qui c’è come un cambio di marcia: dal plurale, si è
passati inavvertitamente al singolare. Inavvertitamente perché il significato
non è mutato: la lingua italiana consente di giocare su questi generi di
plurale. Consente cioè di usare un singolare per esprimere un plurale. Un una tantum che, tuttavia, qui, consente di
chiarire il plurale del primo verso. Quel plurale sottinteso non è dunque un
plurale qualsiasi: è un tu. Chi si è
perso è evidentemente il “tu che guardi questo spot”. E che puoi lascarti
finalmente andare, perderti in una strada che non è segnata – finalmente! – che
ti dà la libertà di spaziare a tuo piacimento e incontrare chi vuoi. E il mare,
che non si vede se non all’orizzonte, c’è, è ben presente, è in realtà tutto
l’orizzonte d’attesa che incornicia la scena, presente nella forma d’una
promessa, d’un orizzonte avvertito, presentito, è promessa d’una sessualità
pura, d’un desiderio entro cui sperdersi, è promessa di felicità.
Frattanto passa il
messaggio: «A chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua». È
sottinteso che qui si continua la dedica. È sottinteso lo stesso patto: “a patto che… potrai finalmente perderti
in una strada che non è la tua”. Si sottintende che la strada, che non è la
tua, sia la strada della vita libera, cioè non una strada segnata dalle mille
incombenze quotidiane entro cui si perde chi non usa il proprio tempo per
essere autenticamente ciò che è, chi si perde cioè nel bicchier d’acqua della
quotidianità, chi cioè non sceglie di vivere liberamente. Ed è quello che
suggerisce, distraendo, l’immagine dell’uomo sulla spiaggia (dove tutte le
strade si confondono e s’intrecciano, con la promessa di un incontro collettivo,
di una festa forse, di un incrociarsi di strade). Ma quel non esser sua della
strada fa veramente a pugni con l’autenticità propugnata nell’usare il tempo
per essere ciò che si è. Allora il sottinteso sarebbe: “solo chi vive in
maniera autentica può permettersi di non avere una strada sua”. Sottinteso,
sempre: “a patto che…”. Cioè: “a patto che voi vediate questo bicchiere mezzo
pieno, rilassatevi, potete permettervi di non avere alcuna strada vostra senza
con ciò essere meno autentici di chi il bicchiere lo vede mezzo vuoto”.
Smarritevi, lasciatevi andare. Non occorre cercare alcuna strada che sia la
vostra. “A patto che vediate il bicchiere mezzo pieno, ci pensiamo noi alla
vostra strada”. Non datevene pena. “Se farete i bravi”, non dovete aver paura
di niente, c’è qui la mamma che vi accudirà. Lasciatevi pure andare,
addormentatevi. Non pensate a niente. Non abbiate paura.
E arriviamo al verso
successivo: «e si sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di
scegliere».
Si esplicita, qui, quello
che dicevamo a proposito del lasciarsi andare. Anche qui, ovviamente, si gioca
sulla congiunzione: «chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua si
sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di scegliere». Sembra
veramente che non voglia dir nulla. E non vuol dire effettivamente quasi nulla – ma solo un tantino più che
nulla. L’immagine che sottolinea questa frase è quella di un paracadutista che
guarda nella telecamera prima di lanciarsi da una rupe. Guarda in telecamera,
come quei bambini in certe riprese amatoriali di famiglia, prima di fare
qualcosa: guarda in telecamera, perché in realtà guarda ai genitori, ne ricerca
l’approvazione. Cerca l’approvazione per essere libero di fare ciò che vorrebbe
e che sta per fare. L’occhio della telecamera ammicca, silenzioso, in un
assenso: “va bene, lo puoi fare”. Sottinteso: “a patto che…”. “Va bene, non
aver paura, sentiti libero di fare quello che vuoi, c’è qui la mamma che ti
protegge se qualcosa dovesse andare storto”. Sottinteso: “se fai il bravo”.
Cioè, sempre: “se vedi il bicchiere mezzo pieno”. Allora, in tal caso, non ti
preoccupare, rilassati, fa’ pure quello che vuoi, non devi mica sceglierti una strada – ci pensa la mamma, tu gioca
pure, divertiti. Anzi, riposati, lasciati andare, non aver paura. “Se ti lasci andare, se ti perdi percorrendo una strada che non è la tua, se cioè vedi il bicchiere mezzo pieno, se fai il bravo, allora puoi sentirti libero, nonostante
la paura, di scegliere”. Di scegliere cosa? Una strada, forse? Sicuramente.
Ma è sottinteso che la strada non può essere la tua. Altrimenti avresti visto
il bicchiere mezzo vuoto. Altrimenti saresti uno che si perde in un bicchier
d’acqua. E dunque? Sei libero di scegliere, certo. Ma solo se scegli una strada
che non è la tua. Cioè sei libero di scegliere, a patto che tu scelga di non scegliere. “Fa’ quello che vuoi –
direbbe la mamma – purché non ti allontani”. È il patto istituito ab origine a vincolare la scelta
all’unica scelta possibile che è quella di non scegliere.
E non è un caso che il
patto è presto ribadito: «a chi si sente speciale nel vedere ciò che ha e non
quello che gli manca».
Qui c’è di nuovo tutta la
retorica della dedica. Ormai si è compreso, l’andazzo è sempre lo stesso:
“potrai ritenerti speciale a patto che
vedrai solo ciò che hai e non quello che ti manca”. Si esplicita così anche il
senso di quel bicchiere mezzo pieno: “A
patto che tu veda il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto” vuol dire
dunque: “A patto che tu ti accontenti di
quello che hai e non pensi a quello che ti manca”. Ecco la scelta proposta
– imposta dal patto: “se scegli di non scegliere puoi scegliere tutto quello
che vuoi”.
La frase è sottolineata
qui dalla scena vintage, in stile C’era una volta in America, dei due
ragazzini che si corrono incontro. Lei offre un leccalecca a forma di cuore al
ragazzino che ha perso alcuni denti. Il sottotesto della scena è che si può
essere speciali (sottinteso: “si può essere amati”) anche con tutti i propri
difetti. Questa è la distrazione offerta dall’immagine. Suggerisce di essere
autentici. È una promessa di felicità, nell’essere
autentici. Ma il patto sotteso permane, anzi è rafforzato: “purché tu ti accontenti, purché tu veda il bicchiere mezzo pieno,
puoi ritenerti speciale, puoi ritenerti amato”.
E difatti il testo non
continua con un’ulteriore congiunzione. C’è solo un ulteriore approfondimento –
e rafforzamento – del patto implicito:
A tutti coloro che vedono la loro unicità come un
bicchiere mezzo pieno.
La scena è ora quella di
un bar dove alcuni amici sono intorno a un tavolo e ridono e chiacchierano
soddisfatti e sereni. Bevono acqua, naturalmente. Non c’è bisogno di bere
altro. Nessun Campari, nessuna birra. Solo acqua. Sottinteso: per star bene ed
essere felici non c’è bisogno che di semplicità e spontaneità. Sottinteso:
semplicità e spontaneità sono la Ferrarelle, non birra né altro. Cioè: “questo
spot è dedicato a tutti coloro che vedono la loro unicità come un bicchiere (di
Ferrarelle) mezzo pieno”. Cioè, ancora: “a
patto che abbiate visto il bicchiere come mezzo pieno vi potrete sentire
appagati e unici anche nella quotidianità e nella semplicità”. Il che vuol dire
che la vostra unicità sta nella libertà di scegliere questo bicchiere mezzo
pieno: se sceglieste di vedere il bicchiere mezzo vuoto sareste nullità. A voi
la scelta! Scegliete pure liberamente (tanto non avete altra scelta).
Lo spot si conclude poi
con lo slogan: Ama chi sei e nessuno sarà
mai come te. Mentre le immagini (che ora combinano il colore della
bottiglia Ferrarelle con il bianco e nero del contesto, a suggerire per
analogia l’unicità del marchio) si posano sulla bottiglia d’acqua accanto al
bicchiere (mezzo pieno) sul tavolo (e quindi distraggono l’attenzione
conducendola stavolta sul prodotto)
lo slogan penetra con l’ultimo, decisivo, affondo: “amati e sarai unico”. O
meglio: “amati per quello che sei e vedrai che la mamma ti amerà come non ama
nessun’altro”. Sempre a patto che il bicchiere tu lo veda mezzo pieno, ovvio.
E allora: quale sarebbe
questa filosofia di vita mutuata
attraverso lo spot? Il narcisismo, è evidente. L’edonismo di un lasciarsi
andare, di non pensare ad alcun problema, d’un ottimismo spicciolo che si
accontenti di vedere un bicchiere mezzo pieno, come se questo bastasse a
risolvere il problema della scarsità delle risorse idriche… Ma perché pensare
alle risorse idriche? Perché porsi il problema? Pensa a te stesso, amati,
coccolati, tu sei unico, “non vedi che la mamma ama solo te?”, tu sei speciale,
nessuno sarà mai come te. Sottinteso:
a patto che tu veda il bicchiere mezzo
pieno. Non ti curare di nulla, va tutto bene: non vorrai dirmi che proprio tu vedi il bicchiere mezzo vuoto? Ma
come? Proprio tu che sei speciale, proprio tu che sei unico, proprio tu che hai
scelto di essere null’altro che quello che sei, vorresti scegliere di scegliere
qualcos’altro? Ma qui si ammicca, ovviamente. Qui si gioca sorridenti: “No, la
mamma lo sa che tu non sceglieresti mai il bicchiere mezzo vuoto. La mamma lo
sa che tu sei bravo. La mamma lo sa che tu sei un bambino speciale”. E
aggiunge, rimboccando le coperte: “dormi ora, rilassati, va tutto bene: c’è qui
la mamma che si prenderà cura di te. Penserà a tutto la mamma”.
Ma, insomma, che filosofia
di vita è mai questa? No, in effetti non c’è per nulla una filosofia di vita.
C’è qui piuttosto una rassicurazione, un appagamento. Un prendersi cura, certo
– ché la pubblicità non è altro che un aver cura – ma è un prendersi cura ed un
dedicarsi che mira a rabbonire. E che pertanto mira ad una regressione
nell’infantilismo. Narcisismo, appunto.
«Quando un brand si
trasforma in una filosofia di vita» indica dunque qualcosa di diverso dal
mutuare una certa filosofia di vita per mezzo dello spot. Dovremo correggere la
prima lettura data: qui si tratta piuttosto di attaccarsi alla filosofia di
vita di ognuno per sostituirsi ad essa. Si tratta di svuotare di senso ogni
filosofia di vita. Si tratta di penetrare la soglia critica di ognuno per
consumarne dall’interno la struttura mentale e ridurne all’infantilismo
narcisistico la Weltanschauung. Si
tratta di usare il materiale archetipico che forma alla base tale visione del
mondo per minarne le fondamenta sì da lasciare indifeso l’osservatore: aprirne,
violentarne, gli orifizi culturali e farlo regredire ad un’eterna fase orale.
Non manca nemmeno, come si
è visto, una (narcisistica) promessa di beatitudine: suggete alla mammella
della pubblicità e vivrete beati. Il che vuol dire anche: siate ebeti – sarete
beati. “Pensa a tutto la mamma”. Si gioca qui a foraggiare infinitamente l’ego,
ad ingrassarlo a dismisura, per ottenebrare il senso critico della realtà. Si
mira cioè a soddisfare (a compiacere, in verità) l’ego per incanalare il senso
di frustrazione nella ricerca infantilistica del piacere materiale: alias nel consumismo. Guai a vedere il
bicchiere mezzo vuoto: potreste cominciare a pensare che le cose non vanno
troppo bene. Potreste cominciare a considerare l’ipotesi che l’economia sia
tutta da riscrivere. Guai!
Il sottinteso, finora
sospeso, diventa allora esplicito. Lungi dal rivolgersi solo a coloro che il bicchiere lo vedono mezzo pieno, lo spot si
rivolge in verità proprio a coloro che lo vedono mezzo vuoto (e del resto perché
lo spot dovrebbe curarsi di quei pochi stolti che il bicchiere lo vedono mezzo
pieno?): “Attenzione! Attenzione! A tutti coloro che il bicchiere lo vedono
mezzo vuoto! Abbiamo la soluzione: riempite quel vuoto attraverso il consumo
reiterato, attaccatevi alla mammella del sistema di produzione capitalistico,
comprate, comprate, evitate di porvi il problema, vi riempiremo noi quel vuoto
incolmabile che sentite dentro, ce ne abbiamo per tutti, la grossa mammella
dell’industria non è mai vuota. Suggete dunque, e non vi date pensiero!”. E che
il bicchiere sia sempre mezzo vuoto è ovviamente funzionale al sistema: guai se
si dovesse riempire. Vorrebbe dire la morte del mercato per entropia.
Ecco
allora il senso che acquista la pubblicità per un marchio il cui mercato è già
saturo. Ecco il senso di questo suo farsi filosofia di vita. Si tratta di
perforare, in realtà, questa filosofia di vita. Si tratta di bucare il fondo
del bicchiere affinché non si riempi mai abbastanza. Si tratta, in altre
parole, di un virale che agisca per immunodeficienza a “sfondare” quel fondo
virtuale che è il consumatore, onde ricavarne un pozzo senza fondo di consumi,
un eterno afflusso d’acqua in un bicchiere che sia sempre mezzo vuoto.
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