domenica 12 maggio 2013

Spot Ferrarelle (2009)


Il bicchiere mezzo pieno


Ricordate la campagna pubblicitaria della Ferrarelle di qualche anno fa? Quella del bicchiere mezzo pieno, per intenderci. Romantica, suasiva, elegante, efficace.
Si può notare una somiglianza fortissima con la campagna pubblicitaria della Fiat che avevamo già analizzato in questo laboratorio (http://proiezionifantasmatiche.blogspot.it/2013/04/spot-fiat-500-2007.html). In effetti siamo sullo stesso terreno: entrambe puntano su una forte emozionalità; entrambe utilizzano immagini (in cui il bianco e nero svolge un ruolo chiave) cariche di significatività psicologica; entrambe hanno un testo molto lirico, sottolineato da una musica semplice, romantica, molto suggestiva, stile Final Fantasy, per intenderci…
Ebbene, in entrambi i casi, ci troviamo su quel terreno in cui la pubblicità smette di essere reclame, smette di essere cioè un mezzo di diffusione pubblica di un prodotto, per diventare veicolo di un immaginario, costruzione (artistica) del reale. Come scrive Stefano Marchesi sul suo blog dedicato alla comunicazione, «Quando un marchio, un prodotto varcano gli immaginari confini del settore di riferimento per avventurarsi in territori inesplorati, diventano un’icona. Attraverso questo processo sfoderano la propria potenza commerciale, la forza della propria storia e del background aziendale» (http://stefanomarchesi.wordpress.com/2009/10/22/il-bicchiere-mezzo-pieno/).
Siamo su questo terreno: la Ferrarelle, come prima la Fiat, svincolata dalla necessità di reclamizzare un prodotto che ormai è divenuto parte integrante della struttura sociale, divenuta cioè un marchio che di fatto costituisce un ente in sé e per sé e non più solo una ditta di produzione di un dato ente, passa ad una nuova fase della comunicazione pubblicitaria. Entra, cioè, in quella sfera della pubblicità che rivela l’essenza più propria della pubblicità stessa e che va ad agire direttamente sugli archetipi, sull’inconscio collettivo, sull’opinione pubblica, anche – e che insomma costruisce l’immaginario collettivo.
«Quando un brand si trasforma in una filosofia di vita», scrive Marchesi a conclusione del suo articolo Il bicchiere mezzo pieno.
Benissimo. Vogliamo interrogarci allora su quale sia la filosofia di vita che questo spot vorrebbe veicolare?
Il testo dello spot recita:

A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno, e non mezzo vuoto
e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono,
a chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua,
e si sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di scegliere.
A chi si sente speciale nel vedere ciò che ha, e non quello che gli manca.
A tutti coloro che vedono la loro unicità come un bicchiere mezzo pieno.
Ama chi sei e nessuno sarà mai come te.
(Gli ultimi due “versi”, in corsivo, sono quelli che vengono recitati nello spot breve. L’ultimo è, ovviamente, lo slogan).
Ovviamente, non è che la filosofia di vita venga veicolata soltanto dal testo. Si vede bene che il testo, letto senza il supporto di musica e immagini, risulta quanto mai spoglio, veramente goffo, quasi, come una poesia scritta da un ragazzino delle scuole medie. È dunque evidente che l’efficacia dello spot non sta nella qualità del testo. E tuttavia, la pochezza di queste frasi è, ovviamente, funzionale all’economia generale dello spot: se fossero più belle, più complesse, sarebbero anche più difficilmente assorbibili, e non sarebbero vettori efficaci. La loro efficacia consiste dunque nella banalità, veicolata subliminalmente per mezzo dell’abbinamento alle immagini e alla musica, diventando in questo modo chiave di apertura di un intero orizzonte – vuoto – di significato, ciò su cui può facilmente far presa l’immaginario di ciascuno. Questi messaggi sono, al pari dei virus, pacchetti minimi di informazione, quintessenziali, al limite nulli (al limite, ma un tantino più che nulli), per cui passano senza problemi e s’attivano solo a contatto col materiale inconscio, proprio come quei virus che in ingegneria genetica vengono usati a mo’ di vettori per inoculare particelle funzionali di acido nucleico. Sono vettori minimi che, adattandosi, modificano il contenuto della cellula, quel tanto che basta.
Sì, è già chiaro dove ci porta questa metafora, ed è proprio ciò che a noi interessa eviscerare. Dunque non accontentiamoci della metafora. Analizziamo il testo, che è ciò che esplicita la filosofia sottostante allo spot. Cercheremo tuttavia di farlo tenendo presente la sottolineatura delle immagini, peraltro molto precisa.
In primo luogo, però, occorre chiarire un momento che cosa si intende per filosofia di vita. In genere, nel linguaggio comune, si parla di filosofia di vita per indicare un certo approccio personale nei confronti del mondo. Si può avere una filosofia di vita pragmatica, realistica, materialistica ovvero più contemplativa, spirituale, idealistica e così via. Qualcosa che ha a che fare con la differente “natura” di ognuno. Molto semplicemente, la filosofia di vita implica una certa scala di valori, una griglia – formata dall’educazione, dalle esperienze personali, da un insieme di riflessioni e giudizi – entro cui interpretare il mondo e la propria posizione nel mondo. La filosofia di vita è una Weltanschauung, una certa “visione del mondo”, o meglio un’immagine interpretativa del mondo che ci circonda.
Quando, dunque, si dice che un certo brand, nella fattispecie la Ferrarelle, si trasforma in una filosofia di vita, è implicato tutto questo: s’intende allora che la Ferrarelle si propone come simbolo di una certa filosofia di vita, chiave d’accesso ad una certa visione del mondo.
Soffermiamoci sul senso di questa chiave, poiché già qui si gioca tutta la portata di questa – e simili – pubblicità. Da un lato, nel proporsi come simbolo, infatti, la Ferrarelle sembra voler ritagliare una fetta di mercato: chi si riconosce in quel simbolo, tenderà a comprare la Ferrarelle. L’idea è questa. Ma il gioco è in verità molto più sottile. Poiché, nel mentre si propone, la Ferrarelle – come ogni marchio della stessa stazza – si impone. La chiave si inserisce ad incastro per poter aprire, dischiudere un fondo virtuale, un potenziale. La chiave diviene dunque (come un virus, questa chiave virtuale di schiusura genetica) vettore di una certa potenziale visione del mondo. Non avrebbe senso, altrimenti, per un brand come la Ferrarelle, che già possiede un mercato pressoché saturo, volersi ritagliare fette di mercato. È dunque altra l’operazione che svolge un simile spot. Lo spot proietta (to spotlight) come una macchia (spot) d’olio, come un untore virale, agendo al contempo come attrattore d’attenzione pubblica (spotlight), una ribalta (spotlight), un riflettore (ancora, spotlight vuol dire tutto questo) che proietta e diffonde una certa immagine del mondo, impregnando di sé, per mezzo di questa chiave virale – ovvero virtuale – il pubblico. Ecco: ciò è, innanzitutto, uno spot pubblicitario.
E nella fattispecie? Qual è allora questa Weltanschauung proiettata dallo spot della Ferrarelle?
Vediamo: in apertura, lo spot mostra un bicchiere che viene riempito a metà. Chiave d’accesso immediata, subito sciolta nella soluzione del rebus: «A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto». È una dedica. È un messaggio: “questo messaggio è rivolto a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. È rivolto? Cioè: esclude chi il bicchiere lo vede mezzo vuoto? È piuttosto dedicato: “questo messaggio è dedicato (si dedica, dedica una x, un qualcosa, cosa?) a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. Vi è qui un sottinteso. Una dedica. Una dedica sottesa, sottintesa, a tutto lo spot. La chiave – mostrata – consiste allora in questo non detto, in questo sottinteso che è già un ammiccamento. A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno. È un richiamo, in primo luogo. Un attrattore d’attenzione. “A tutte le unità”, come nei b-movie americani, “a tutti coloro che…” (sottinteso: “attenzione”). Sottintesa è, però, un’attenzione che è una cura, che è una dedica, un rivolgersi che è un dedicarsi. Un dedicarsi a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno. “… E non mezzo vuoto”. C’è un’esclusione? Si sottintende che la cura dello spot, l’attenzione riposta, sia rivolta non a coloro che vedono il bicchiere mezzo vuoto? “A noi interessano solo coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno, non quelli che lo vedono mezzo vuoto”: è questo il sottinteso? Potrebbe. In effetti lo è. In effetti lascia intendere che lo sia. Ecco l’ammiccamento: “dedicato a tutti quelli che vedono questo bicchiere mezzo pieno”. Sottinteso: “degli altri non ce ne curiamo”.
Ma questa dedica, quest’attenzione che è prima di tutto una cura, diviene immediatamente prescrittiva: “di coloro che vedono questo bicchiere mezzo vuoto non ce ne curiamo”. Cioè: “coloro che vedono questo bicchiere mezzo vuoto non sono degni nemmeno dell’attenzione di uno spot pubblicitario”. Cioè, quindi: “questo bicchiere è mezzo pieno, se lo vedete mezzo vuoto peggio per voi”. Il sottinteso dell’attenzione è pertanto che si faccia attenzione: “attenzione: questo bicchiere è mezzo pieno, guai a voi se lo vedete mezzo vuoto”; come la cura e l’attenzione di una madre che minaccia di non voler più bene al figlio discolo. Il sottinteso e l’ammiccamento – feroce, certo – sta nel fatto che la madre fa solo finta di non voler più bene, cioè fa solo finta di non prendersi cura: si prende cura, si dedica, in verità, tanto più con la minaccia. Con la sottrazione della dedica, si sottintende la prescrizione negativa: “se vedi il bicchiere mezzo vuoto non ti voglio più bene” – quindi: “attenzione, il bicchiere è mezzo pieno”. Ecco dunque: «a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto», è la formula partecipativa, l’incipit sotteso di un patto: “Attenzione! Attenzione! Questo bicchiere è mezzo pieno”. Patto minimo d’intesa.
Resta sottinteso, celato, il termine del patto, la dedica: “a patto che vediate questo bicchiere mezzo pieno, avrete… (cosa?)”. Una dedica, dunque una cura – certo, questo è chiaro. Avrete anche il bene della mamma. Ma nella fattispecie? Ecco, qui sta la chiave: una promessa. Questo è il sottinteso, che, in quanto promessa, non può che rimanere virtuale, dunque implicito, non dichiarato. E questo non detto istituisce il patto di partecipazione. È un vuoto da riempire a piacimento. È un’utopia, che istituisce un patto che è un’appartenenza.
«E usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono».
È, forse, questa, la specificazione della promessa?: «A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono». Evidentemente no. È una specificazione, certo, ma non della promessa. È il continuo dell’incipit, la chiarificazione che si dà in nuce in quell’attenzione, in quel richiamo incipiente all’attenzione: specifica cioè la dedica, non la promessa di questa dedica. Specifica il chi cui è rivolto lo spot: «A tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno… e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono». Sottinteso, sempre: “non agli altri”, cioè a quanti il bicchiere lo vedono mezzo vuoto. Lo vedono mezzo vuoto e… c’è dell’altro, chiaramente, anche qui. Dell’altro sottinteso. Qui entra in gioco la classica ambiguità della congiunzione: “a tutti coloro che vedono questo bicchiere mezzo pieno e (a tutti coloro che) usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono”. Ma quella “e” implica dell’altro: implica un’identità. Implica che gli stessi che vedono il bicchiere mezzo pieno sono (per ciò stesso) coloro i quali usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono. E, viceversa, coloro che il bicchiere lo vedono mezzo vuoto sono (anche qui, per ciò stesso) gli stessi che il tempo lo perdono, che si perdono nell’inautenticità, che si perdono in un bicchier d’acqua. Si compie così la prescrizione implicita nell’attenzione, istituita nel patto di partecipazione: “attenzione: se non vedete questo bicchiere mezzo pieno siete indegni d’attenzione perché sprecate il vostro tempo e vi perdete in un bicchiere d’acqua”. La “e” diviene dunque, nell’atto stesso di congiungere, complemento di specificazione: “l’attenzione, la cura, è propria di chi non perde tempo, di chi non si perde in un bicchier d’acqua – quindi, è propria di chi questo bicchiere lo vede mezzo pieno”. Gli altri, coloro che lo vedono mezzo vuoto, semplicemente sono superflui. Ci sono, ma non contano. Ci sono, ma è come se non ci fossero. Sono gli altri – i non protagonisti. Sottinteso: voi (tu) il bicchiere lo vedrete mezzo pieno. Sottinteso: noi sappiamo che voi lo vedrete mezzo pieno. Qui si ammicca, evidentemente. E in questo ammiccare si istituisce il patto. Silenzioso (e tanto più efficace). Come un genitore che ammicca – o come un amico: “Sì, lo so che tu vedrai questo bicchiere mezzo pieno. Ed è proprio a te che mi sto rivolgendo. Di nessun altro mi curo”. Sottinteso: “sei l’unico ad avere tutta la mia attenzione. Perché so che vedrai il bicchiere mezzo pieno”. E non mezzo vuoto: “lascia pure che gli altri lo vedano mezzo vuoto. Tu lo vedrai mezzo pieno”. Sottinteso: “a patto che tu vedrai il bicchiere mezzo pieno, riceverai tutta la mia attenzione speciale”. Il che vuol dire, nel linguaggio della mamma: “suvvia, sii bravo; e ti prometto che…”. Va da sé che questa sospensione permane. S’intende ch’essa è funzionale e strutturale. Tutto lo spot si regge su questa sospensione. Ed è questa promessa implicita la chiave di tutto.
È significativo, intanto, che alle parole «e usano il tempo per essere ciò che autenticamente sono» corrisponda l’immagine di una donna che suona l’arpa. Immagine quanto mai poetica: l’arpa, che rinvia alla cetra dei pitagorici, all’armonia di un tempo che si sposa con la musica e dunque con l’anima e una donna che intesse, suonando, i fili armonici del tempo, come un’Ora rediviva, simbolo dell’anima interiore, simbolo dell’inconscio, che agisce direttamente sul proprio tempo interiore. Un’immagine che suggerisce l’armoniosa, spontanea realizzazione di sé – del sé più recondito, l’anima, appunto, di contro all’animus razionale che tenderebbe ad analizzare le cose in maniera fredda, obiettiva. Invece di guardare alle cose dalla prospettiva del raziocinio (ciò che potrebbe anche condurre a vedere il bicchiere, se non come mezzo vuoto, semplicemente per quello che è: un bicchiere riempito a metà), l’immagine suggerisce di guardare alle cose dalla prospettiva del sentimento. C’è una mamma buona che ti suggerisce di prenderti cura di te stesso, di prendere in mano il tuo tempo e dedicarti alle cose che ami, nella tautologia di essere ciò che autenticamente si è. Ma l’immagine è, letteralmente, una dis-trazione. Conduce l’attenzione altrove, sulla figura materna, rassicurante e armoniosa, nel mentre il messaggio prescrittivo dice: “se non vedi questo bicchiere mezzo pieno non potrai mai essere ciò che vorresti essere”. O meglio: “sei una nullità (nemmeno degno di questo spot) se non vedi il bicchiere mezzo pieno”. E l’immagine distraente è funzionale proprio a distogliere l’attenzione da quella “e” carica di significato. Il significato passa, ma direttamente sull’inconscio, sulla porta aperta dall’anima evocata dall’arpista (è sempre una figura femminile che, nell’interpretazione archetipica dei sogni, dischiude allo spazio dell’inconscio). È il segno che la fiaba è passata ad agire su un piano molto più profondo della psiche.
E che siamo proprio in una fiaba è reso evidente dalla scena successiva: è l’animus adesso, l’elemento razionale (il maschile) che si ritrova su una spiaggia. Il mare non si vede, se non all’orizzonte – ma c’è. Si vedono invece le impronte di mille percorsi. La spiaggia, paesaggio dell’anima per eccellenza. Entro cui ci si perde – per ritrovarsi.
«A chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua».
Permane evidentemente tutto il sospeso di cui dicevamo. La dedica continua, senza peraltro specificarsi oltre. Si specifica invece – e s’approfondisce –  ulteriormente il senso implicito nell’avvertimento: “Chi vedrà questo bicchiere mezzo pieno è lo stesso che si è perso (si perderà) percorrendo una strada che non è la sua”. L’immagine suggerisce (anche qui, ovviamente, in una dis-trazione) l’abbandono del freno inibitorio della razionalità. Qui l’animo, accompagnato dall’Ora di prima, ovvero dall’anima, è entrato in un territorio entro cui può sperdersi, disciogliendosi nell’inconscio. Entro cui tutto è possibile, come ci suggerisce il sorriso dell’uomo (dopo un primo momento di incertezza e preoccupazione, tipico dello smarrimento estraniante che si prova a ridiscendere nel mondo ctonio della propria psiche) che evidentemente è ben felice di perdersi. Qui non ci sono strade segnate, non c’è una strada che si possa dire propria, c’è solo «… una strada che non è la sua». Ma la “sua” di chi? Di quello stesso, evidentemente, che vede il bicchiere mezzo pieno. Certo, ma qui c’è come un cambio di marcia: dal plurale, si è passati inavvertitamente al singolare. Inavvertitamente perché il significato non è mutato: la lingua italiana consente di giocare su questi generi di plurale. Consente cioè di usare un singolare per esprimere un plurale. Un una tantum che, tuttavia, qui, consente di chiarire il plurale del primo verso. Quel plurale sottinteso non è dunque un plurale qualsiasi: è un tu. Chi si è perso è evidentemente il “tu che guardi questo spot”. E che puoi lascarti finalmente andare, perderti in una strada che non è segnata – finalmente! – che ti dà la libertà di spaziare a tuo piacimento e incontrare chi vuoi. E il mare, che non si vede se non all’orizzonte, c’è, è ben presente, è in realtà tutto l’orizzonte d’attesa che incornicia la scena, presente nella forma d’una promessa, d’un orizzonte avvertito, presentito, è promessa d’una sessualità pura, d’un desiderio entro cui sperdersi, è promessa di felicità.
Frattanto passa il messaggio: «A chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua». È sottinteso che qui si continua la dedica. È sottinteso lo stesso patto: “a patto che… potrai finalmente perderti in una strada che non è la tua”. Si sottintende che la strada, che non è la tua, sia la strada della vita libera, cioè non una strada segnata dalle mille incombenze quotidiane entro cui si perde chi non usa il proprio tempo per essere autenticamente ciò che è, chi si perde cioè nel bicchier d’acqua della quotidianità, chi cioè non sceglie di vivere liberamente. Ed è quello che suggerisce, distraendo, l’immagine dell’uomo sulla spiaggia (dove tutte le strade si confondono e s’intrecciano, con la promessa di un incontro collettivo, di una festa forse, di un incrociarsi di strade). Ma quel non esser sua della strada fa veramente a pugni con l’autenticità propugnata nell’usare il tempo per essere ciò che si è. Allora il sottinteso sarebbe: “solo chi vive in maniera autentica può permettersi di non avere una strada sua”. Sottinteso, sempre: “a patto che…”. Cioè: “a patto che voi vediate questo bicchiere mezzo pieno, rilassatevi, potete permettervi di non avere alcuna strada vostra senza con ciò essere meno autentici di chi il bicchiere lo vede mezzo vuoto”. Smarritevi, lasciatevi andare. Non occorre cercare alcuna strada che sia la vostra. “A patto che vediate il bicchiere mezzo pieno, ci pensiamo noi alla vostra strada”. Non datevene pena. “Se farete i bravi”, non dovete aver paura di niente, c’è qui la mamma che vi accudirà. Lasciatevi pure andare, addormentatevi. Non pensate a niente. Non abbiate paura.
E arriviamo al verso successivo: «e si sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di scegliere».
Si esplicita, qui, quello che dicevamo a proposito del lasciarsi andare. Anche qui, ovviamente, si gioca sulla congiunzione: «chi si è perso percorrendo una strada che non è la sua si sente libero se, malgrado la paura, trova il coraggio di scegliere». Sembra veramente che non voglia dir nulla. E non vuol dire effettivamente quasi nulla – ma solo un tantino più che nulla. L’immagine che sottolinea questa frase è quella di un paracadutista che guarda nella telecamera prima di lanciarsi da una rupe. Guarda in telecamera, come quei bambini in certe riprese amatoriali di famiglia, prima di fare qualcosa: guarda in telecamera, perché in realtà guarda ai genitori, ne ricerca l’approvazione. Cerca l’approvazione per essere libero di fare ciò che vorrebbe e che sta per fare. L’occhio della telecamera ammicca, silenzioso, in un assenso: “va bene, lo puoi fare”. Sottinteso: “a patto che…”. “Va bene, non aver paura, sentiti libero di fare quello che vuoi, c’è qui la mamma che ti protegge se qualcosa dovesse andare storto”. Sottinteso: “se fai il bravo”. Cioè, sempre: “se vedi il bicchiere mezzo pieno”. Allora, in tal caso, non ti preoccupare, rilassati, fa’ pure quello che vuoi, non devi mica sceglierti una strada – ci pensa la mamma, tu gioca pure, divertiti. Anzi, riposati, lasciati andare, non aver paura. “Se ti lasci andare, se ti perdi percorrendo una strada che non è la tua, se cioè vedi il bicchiere mezzo pieno, se fai il bravo, allora puoi sentirti libero, nonostante la paura, di scegliere”. Di scegliere cosa? Una strada, forse? Sicuramente. Ma è sottinteso che la strada non può essere la tua. Altrimenti avresti visto il bicchiere mezzo vuoto. Altrimenti saresti uno che si perde in un bicchier d’acqua. E dunque? Sei libero di scegliere, certo. Ma solo se scegli una strada che non è la tua. Cioè sei libero di scegliere, a patto che tu scelga di non scegliere. “Fa’ quello che vuoi – direbbe la mamma – purché non ti allontani”. È il patto istituito ab origine a vincolare la scelta all’unica scelta possibile che è quella di non scegliere.
E non è un caso che il patto è presto ribadito: «a chi si sente speciale nel vedere ciò che ha e non quello che gli manca».
Qui c’è di nuovo tutta la retorica della dedica. Ormai si è compreso, l’andazzo è sempre lo stesso: “potrai ritenerti speciale a patto che vedrai solo ciò che hai e non quello che ti manca”. Si esplicita così anche il senso di quel bicchiere mezzo pieno: “A patto che tu veda il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto” vuol dire dunque: “A patto che tu ti accontenti di quello che hai e non pensi a quello che ti manca”. Ecco la scelta proposta – imposta dal patto: “se scegli di non scegliere puoi scegliere tutto quello che vuoi”.
La frase è sottolineata qui dalla scena vintage, in stile C’era una volta in America, dei due ragazzini che si corrono incontro. Lei offre un leccalecca a forma di cuore al ragazzino che ha perso alcuni denti. Il sottotesto della scena è che si può essere speciali (sottinteso: “si può essere amati”) anche con tutti i propri difetti. Questa è la distrazione offerta dall’immagine. Suggerisce di essere autentici. È una promessa di felicità, nell’essere autentici. Ma il patto sotteso permane, anzi è rafforzato: “purché tu ti accontenti, purché tu veda il bicchiere mezzo pieno, puoi ritenerti speciale, puoi ritenerti amato”.
E difatti il testo non continua con un’ulteriore congiunzione. C’è solo un ulteriore approfondimento – e rafforzamento – del patto implicito:
A tutti coloro che vedono la loro unicità come un bicchiere mezzo pieno.
La scena è ora quella di un bar dove alcuni amici sono intorno a un tavolo e ridono e chiacchierano soddisfatti e sereni. Bevono acqua, naturalmente. Non c’è bisogno di bere altro. Nessun Campari, nessuna birra. Solo acqua. Sottinteso: per star bene ed essere felici non c’è bisogno che di semplicità e spontaneità. Sottinteso: semplicità e spontaneità sono la Ferrarelle, non birra né altro. Cioè: “questo spot è dedicato a tutti coloro che vedono la loro unicità come un bicchiere (di Ferrarelle) mezzo pieno”. Cioè, ancora: “a patto che abbiate visto il bicchiere come mezzo pieno vi potrete sentire appagati e unici anche nella quotidianità e nella semplicità”. Il che vuol dire che la vostra unicità sta nella libertà di scegliere questo bicchiere mezzo pieno: se sceglieste di vedere il bicchiere mezzo vuoto sareste nullità. A voi la scelta! Scegliete pure liberamente (tanto non avete altra scelta).
Lo spot si conclude poi con lo slogan: Ama chi sei e nessuno sarà mai come te. Mentre le immagini (che ora combinano il colore della bottiglia Ferrarelle con il bianco e nero del contesto, a suggerire per analogia l’unicità del marchio) si posano sulla bottiglia d’acqua accanto al bicchiere (mezzo pieno) sul tavolo (e quindi distraggono l’attenzione conducendola stavolta sul prodotto) lo slogan penetra con l’ultimo, decisivo, affondo: “amati e sarai unico”. O meglio: “amati per quello che sei e vedrai che la mamma ti amerà come non ama nessun’altro”. Sempre a patto che il bicchiere tu lo veda mezzo pieno, ovvio.
E allora: quale sarebbe questa filosofia di vita mutuata attraverso lo spot? Il narcisismo, è evidente. L’edonismo di un lasciarsi andare, di non pensare ad alcun problema, d’un ottimismo spicciolo che si accontenti di vedere un bicchiere mezzo pieno, come se questo bastasse a risolvere il problema della scarsità delle risorse idriche… Ma perché pensare alle risorse idriche? Perché porsi il problema? Pensa a te stesso, amati, coccolati, tu sei unico, “non vedi che la mamma ama solo te?”, tu sei speciale, nessuno sarà mai come te. Sottinteso: a patto che tu veda il bicchiere mezzo pieno. Non ti curare di nulla, va tutto bene: non vorrai dirmi che proprio tu vedi il bicchiere mezzo vuoto? Ma come? Proprio tu che sei speciale, proprio tu che sei unico, proprio tu che hai scelto di essere null’altro che quello che sei, vorresti scegliere di scegliere qualcos’altro? Ma qui si ammicca, ovviamente. Qui si gioca sorridenti: “No, la mamma lo sa che tu non sceglieresti mai il bicchiere mezzo vuoto. La mamma lo sa che tu sei bravo. La mamma lo sa che tu sei un bambino speciale”. E aggiunge, rimboccando le coperte: “dormi ora, rilassati, va tutto bene: c’è qui la mamma che si prenderà cura di te. Penserà a tutto la mamma”.
Ma, insomma, che filosofia di vita è mai questa? No, in effetti non c’è per nulla una filosofia di vita. C’è qui piuttosto una rassicurazione, un appagamento. Un prendersi cura, certo – ché la pubblicità non è altro che un aver cura – ma è un prendersi cura ed un dedicarsi che mira a rabbonire. E che pertanto mira ad una regressione nell’infantilismo. Narcisismo, appunto.
«Quando un brand si trasforma in una filosofia di vita» indica dunque qualcosa di diverso dal mutuare una certa filosofia di vita per mezzo dello spot. Dovremo correggere la prima lettura data: qui si tratta piuttosto di attaccarsi alla filosofia di vita di ognuno per sostituirsi ad essa. Si tratta di svuotare di senso ogni filosofia di vita. Si tratta di penetrare la soglia critica di ognuno per consumarne dall’interno la struttura mentale e ridurne all’infantilismo narcisistico la Weltanschauung. Si tratta di usare il materiale archetipico che forma alla base tale visione del mondo per minarne le fondamenta sì da lasciare indifeso l’osservatore: aprirne, violentarne, gli orifizi culturali e farlo regredire ad un’eterna fase orale.
Non manca nemmeno, come si è visto, una (narcisistica) promessa di beatitudine: suggete alla mammella della pubblicità e vivrete beati. Il che vuol dire anche: siate ebeti – sarete beati. “Pensa a tutto la mamma”. Si gioca qui a foraggiare infinitamente l’ego, ad ingrassarlo a dismisura, per ottenebrare il senso critico della realtà. Si mira cioè a soddisfare (a compiacere, in verità) l’ego per incanalare il senso di frustrazione nella ricerca infantilistica del piacere materiale: alias nel consumismo. Guai a vedere il bicchiere mezzo vuoto: potreste cominciare a pensare che le cose non vanno troppo bene. Potreste cominciare a considerare l’ipotesi che l’economia sia tutta da riscrivere. Guai!
Il sottinteso, finora sospeso, diventa allora esplicito. Lungi dal rivolgersi solo a coloro che il bicchiere lo vedono mezzo pieno, lo spot si rivolge in verità proprio a coloro che lo vedono mezzo vuoto (e del resto perché lo spot dovrebbe curarsi di quei pochi stolti che il bicchiere lo vedono mezzo pieno?): “Attenzione! Attenzione! A tutti coloro che il bicchiere lo vedono mezzo vuoto! Abbiamo la soluzione: riempite quel vuoto attraverso il consumo reiterato, attaccatevi alla mammella del sistema di produzione capitalistico, comprate, comprate, evitate di porvi il problema, vi riempiremo noi quel vuoto incolmabile che sentite dentro, ce ne abbiamo per tutti, la grossa mammella dell’industria non è mai vuota. Suggete dunque, e non vi date pensiero!”. E che il bicchiere sia sempre mezzo vuoto è ovviamente funzionale al sistema: guai se si dovesse riempire. Vorrebbe dire la morte del mercato per entropia.
Ecco allora il senso che acquista la pubblicità per un marchio il cui mercato è già saturo. Ecco il senso di questo suo farsi filosofia di vita. Si tratta di perforare, in realtà, questa filosofia di vita. Si tratta di bucare il fondo del bicchiere affinché non si riempi mai abbastanza. Si tratta, in altre parole, di un virale che agisca per immunodeficienza a “sfondare” quel fondo virtuale che è il consumatore, onde ricavarne un pozzo senza fondo di consumi, un eterno afflusso d’acqua in un bicchiere che sia sempre mezzo vuoto.

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