domenica 30 gennaio 2011

Twilight


Twilight di C. Hardwicke, colore, 117 min., USA 2008

Forks, Penisola di Olympia, contea di Clallam, stato di Washington. Sorta ai confini della riserva Mora e dell’area di La Push – la bouche storpiata, la bocca del fiume, quello lungo il quale si estende la zona – patria della tribù degli indiani-licantropi Quileute, dei surfisti e dei cacciatori di balene. La giovane, piovosa, nuvolosa, grigia Forks, con la sua foresta nebbiosa, i suoi alberi di cedro. Battezzata dall’intrico di fiumi che vena le sue terre e che attira pescatori di salmone e di trote arcobaleno da tutta la contea. Forks che sembra ferma nel tempo, distante, nascosta, grigio-verde è stata consacrata da Stephenie Meyer, la scrittrice statunitense che nel 2005 inizia a pubblicare i libri della Saga Twilight, come culla o forse teca del/la nuovo/a “tipo/a vampiro/a”, del/la vampiro/a moderno/a, à la page, trendy. Bello e maledetto, ribelle e solitario, un James Dean ripulito, acculturato e con lunga vita lui; classicamente americana, tendenzialmente biondo platino, un po’ pin-up, un po’ veggente per caso, lei. Parliamo dei/lle non-morti/e. Accanto a loro i/le non-vivi/e: la comunità di Forks con tutti i suoi usi e costumi; la straniera; gli indiani della riserva. Catherine Hardwicke, in Twilight, mette in immagini le vicende di alcuni clan di ultima generazione vampirica, avviando così la Saga filmica Twilight – seguiranno New Moon di Chris Weitz, 2009; Eclipse di David Slade 2010; Breaking Dawn di Bill Condon, 2011. Il modo in cui Meyer-Hardwiche raccontano di questa depotenziata e umanizzata generazione vampirica e del contesto in cui essa spende la sua non-morte eterna, è il motivo che rende interessante riflettere sul “caso cinematografico Twilight”, che sopravvive a cambi di regia e a differite spazio-temporali; che, richiede fedeltà – o meglio affiliazione – e pazienza; che invoca allo stesso tempo ribellione al sistema e fede nel sogno americano.

lunedì 10 gennaio 2011

Intervista col vampiro


Intervista col vampiro (Interview with the Vampire), di N. Jordan, 118 min., USA 1994.


Intervista col vampiro. Ovvero: cronache di vampiri, come recita il sottotitolo. Un film che ha segnato indubbiamente una svolta nel cinema degli ultimi vent'anni, insieme ai romanzi di Anne Rice, che ne ha scritto la sceneggiatura e dei quali il film stesso costituisce la trasposizione cinematografica (in particolare dell'omonimo primo romanzo delle Cronache dei vampiri). Un passaggio che segna un cambiamento nell'immaginario e nella percezione collettiva degli anni '90 , di cui lo stesso Dracula di Francis Ford Coppola, di due anni prima, costituisce un momento saliente, in perfetta sintonia con quella tendenza che nell'Intervista viene esplicitata in maniera da formare quasi un canone che informerà, insieme ad un altro cult coevo, Il corvo, la cultura di un'intera generazione e che, di fatto, costituisce il terreno dal quale emergerà anche la più recente sottocultura giovanile (per intenderci, gli "emo") nonché l'attuale moda legata al vampirico (già: vampirico piuttosto che vampiro, dacché non si può parlare in questo caso di vampiri tout court).

mercoledì 5 gennaio 2011

Dracula di Bram Stoker


Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker's Dracula), di F. Ford Coppola, 128 min., USA 1992.


«Se è la cultura che cerca, visiti un museo!». Così si esprime Mina Harker durante il primo, fatidico incontro con il principe Vlad nel Dracula di Bram Stoker di Coppola. È un ammiccamento ironico da parte del regista (e dello sceneggiatore) riguardo al cinema, ma anche un avvertimento reale allo spettatore con troppe aspettative: qui si fa spettacolo, la vera cultura va ricercata altrove.
Spettacolo come necessità di sopravvivenza, per una casa di produzione, la Zoetrope, sull'orlo della bancarotta, spettacolo come necessità espressiva, in un gioco di ombre tra ombre che si rincorrono e sono sempre fuori tempo rispetto a chi le genera, spettacolo come vita di finzione che si contrappone alla vita reale, pur inseguendola sempre, così come la vita del non-morto si contrappone all'esistenza dei viventi ma la ricerca, la brama, è necessaria alla sua stessa esistenza.
Un gioco di contrapposizioni e rimandi che continua nel rapporto tra testo narrativo e testo visivo, con le libertà interpretative che portano questa versione del romanzo di Bram Stoker ad essere allo stesso tempo la più vicina in senso letterale e quella che forse si allontana di più nella sostanza dal testo scritto.
La presenza di citazioni e rimandi fa sì che questa di Coppola del 1992 sia una summa delle versioni precedenti, una citazione e rimando continuo a tanto altro cinema dell'orrore, in un desiderio di attirare un pubblico cinematograficamente adulto, pur in un film che molto si orienta a una platea giovane, nella necessità dichiarata di essere film di successo.
Barocco, eccessivo, rifiuta gli effetti speciali digitali per rifarsi con quelli ottici al cinema degli albori, con modellini, sovrimpressioni in ripresa, slow motion, stop motion, riprese al contrario. E il legame non è casuale, visto che il romanzo è praticamente coevo alla nascita del cinema, in un legame che rimarrà stabile nel tempo (Dracula è uno dei personaggi letterari con il maggior numero di trasposizioni cinematografiche).
Citazioni, rimandi, ma anche libertà. È nelle differenze con il romanzo che bisogna cercare una chiave di lettura.
Il vampiro, da essere ferino, animale selvaggio che brama il sangue, diventa una figura drammatica di vedovo dannato, un essere che dentro di sé brama la pace, pace che solo la protagonista gli potrà dare, nella non-morte come nella morte vera e propria. Mina, d'altro canto, come l'altra protagonista Lucy, è una donna consapevole. Una volta acquisita coscienza dell'antico legame con il principe delle tenebre, Mina si trova divisa tra l'amore per Johnatan e la passione per l'amante notturno, ma non subisce passivamente.
La figura del vampiro diventa così una metafora della liberazione della donna nella società vittoriana, la sessualità che viene repressa a tutti i costi per far sì che la donna rimanga sottomessa, passiva. Il vampiro si manifesta come la possibilità di una vita libera, per questo gli uomini lo devono sopprimere, per mantenere lo status quo. La libertà che si manifesta sotto forma di "bacio", del sangue che viene scambiato e in questo richiama a tante altre forme di vita libera che, passati gli anni della liberazione sessuale, proprio in quel periodo venivano etichettate come pericolose: l'omosessualità, la tossicodipendenza, l'eccessiva promiscuità sessuale... Sono, è bene ricordarlo, gli anni in cui l'AIDS è in cima alle priorità tra i problemi dell'Occidente. Il vampiro appare come l'emarginato, che riesce a farsi accettare nella società, e dalla protagonista, dandosi la forma di un dandy, ma è dilaniato dalla consapevolezza della sua vera essenza.