sabato 26 marzo 2011

Questi Fantasmi!


 Questi Fantasmi!, di E. De Filippo, commedia in tre atti (edizione televisiva), b/n, Italia 1962.

«C’era un vecchio con la barba che veniva a casa quando ci trovavamo tra amici perché raccontava di essere uno specialista di sedute spiritiche. Per convincermi, mi diceva che spesso, tornando a casa sua, trovava un tipo che usciva e lo salutava. Diceva di essere un fantasma. Io gli chiesi: Lei è sposato? E sua moglie non dice nulla? Non se ne accorge – mi rispose – non lo vede. Così nacquero Questi Fantasmi!»[1] 
Eduardo compone e mette in scena la commedia nel 1946La prima, all’Eliseo di Roma, è un trionfo, e trionfali  saranno tutte le rappresentazioni, in Italia e all’estero, che si susseguiranno sino ai primi anni Ottanta. Nel 1983 lo stesso autore, in una conferenza-spettacolo tenuta a Montalcinodichiarava l’assoluta attualità della sua commedia: «questi partiti politici lontani dalla nostra vita,fantasmi anche loro, o chissà che non siano riusciti a convertire tutti noi in fantasmi…»[2]
La capacità di traduzione della commedia eduardiana (non solo di questa, per la verità) si rivela in tutta la sua potenza a partire dall’analisi lucida e profetica che l’autore compie sulla società dell’immediato dopoguerra. La Napoli e l’Italia del 1946 vengono rappresentate come mondo del caos e dell’ignoranza in cui è l’apparenza la sola realtà che conta. La radicale trasformazione della società comporta, sul lungo periodo, conseguenze che a non tutti i contemporanei potevano esser chiare e che l’occhio attento di Eduardo individua senza difficoltà alcuna.
Compare sulla scena, in senso figurato e non, un nuovo personaggio, ultimo prodotto sociale: l’aspirante piccolo borghese, o meglio, “il borghese piccolo, piccolo” come, in senso dispregiativo, talvolta lo definiva Eduardo.
Non è propriamente questo il caso dell’anima in pena Pasquale Lo Iacono, i cui contorni vengono tracciati dall’autore in maniera sfumata lasciando allo spettatore l’arduo compito di decidere se si tratti di un innocente credulone o di un furbo profittatore o, ancora, di un disperato pronto a tutto.
Ma, al di là della simpatia o antipatia che può suscitare quest’anima che si dibatte, la caratteristica principale che contraddistingue l’aspirante piccolo borghese è l’ossessione del denaro ed il relativo riconoscimento sociale; in questo senso la figura di Pasquale è assolutamente ben delineata. Si intestardisce nella convinzione che non vi sia alcuna relazione durevole che non abbia un corrispettivo in denaro. E nessuna delle anime che popolano il palcoscenico tenta di dargli torto. Raffaele, il portiere (anima nera) lo accoglie in casa cercando di definire dal principio il suo compenso; Alfredo (anima libera), amante della moglie, nell’esposizione dei propri piani, non fa altro che parlare di soldi, sostenendo, al rovescio della medaglia, la medesima teoria di Pasquale.
Ma il denaro, e qui spunta la finalità didascalica di Eduardo, è capace di sovvertire la realtà catapultandola nella finzione! È sempre il denaro, con la sua immaterialità, che rende gli uomini e le donne fantasmi. La grande intuizione consiste proprio nella rappresentazione di questo piccolo purgatorio quotidiano in cui si affollano figure evanescenti in attesa di condanna definitiva o liberazione.
Il tema del “denaro”, caro all’autore, è analizzato anche in Napoli Milionaria (1945) dove, però, non è il dopoguerra il nodo cruciale ma la guerra stessa. In una condizione di vita fuori dall’ordinario, il denaro riesce a smaterializzare i corpi  ma vi è una giustificazione, in fondo: essa sta nella straordinarietà stessa della situazione. La fine della guerra ristabilisce l’ordine.
La riflessione di Eduardo a solo un anno di distanza dalla composizione di Napoli Milionaria, si radicalizza in senso negativo. La società è profondamente ed irreversibilmente mutata. La guerra è finita ma il suo spettro è riuscito a sovvertire l’ordine.
Immagine sbiadita dei vivi che furono (prima della guerra), sono questi fantasmi.
Nessuna netta divisione tra il mondo dei vivi e quello dei fantasmi; essi convivono, ma non si confondono. Il professor Santanna (anima utile ma non compare mai) a cui è affidato il ruolo di ristabilimento del reale, vede i fantasmi, ci parla, ne condivide le abitudini (il cerimoniale del caffè) ma non invade la loro scena. La comunicazione verbale e gestuale costituisce la modalità di convivenza. Quella stessa comunicazione che permette a Pasquale di confessarsi ad Alfredo ma non a sua moglie; quella stessa comunicazione che Eduardo individua come chiave di accesso (Pasquale alla moglie: «Marì , avimmo perso a chiave»), unica speranza di salvezza.

[1] Eduardo in un’intervista al «Corriere della Sera», 17 gennaio 1983.
[2] Citazione tratta da E. De Filippo, Cantata dei giorni dispari, Einaudi 1995, pag. 128.

Maria Rosaria Falcone

martedì 22 marzo 2011

The Others


The Others, di A. Amenàbar, 101 min., colore, USA/Spagna/Francia 2008


The Others sono immagini in sequenza sull’alterità, sull’alterazione si sé, sulla compresenza in uno stesso mondo di più dimensioni, di punti di vista altri, di altre presenze, di altri corpi incorporei, di altre percezioni, di altri sensi. Un film di fantasmi, in cui il confine tra vita e morte non si perde, non scompare, ma continua a tracciarsi mentre si cancella, perché l’immagine gioca sulla percezione di chi guarda e sente; perché tradisce la fiducia dello spettatore, che prima crede al regista, a ciò che gli mostra e poi deve ricredersi, distaccarsi dallo sguardo dell’altro, meccanico e di carne insieme, e riprendere a fidarsi di sé, di ciò che sente, perché quello che c’è fuori, sullo schermo, è ormai marchiato dal segno del tradimento, dalla posizione di un confine che prima non c’era.
Il mondo di “compresenze” è sì quello di fuori, abitato da figure figuranti per lo più servili (il prete che celebra messa per Dio, per la comunità di fedeli e per la dittatura della sua anima cristiana, che gli intima purezza e obbedienza in cambio di salvezza o dannazione eterna; i domestici, che servono il/la padrone/a per sempre, fedeli, sottomessi per sempre anche post mortem; il marito, che decide di andare in guerra per servire la Patria e non sottomettersi all’amore dell’amante, alla sua pretesa di presenza e all’incombenza dei doveri che la famiglia richiede), che circolano tra case, giardini, chiese, strade, cimiteri, boschi nebbiosi, ma è anche quello di dentro, il mondo racchiuso in un corpo di corpi.