venerdì 26 novembre 2010

Zombie


Zombie: Come è noto lo zombie ha origine in quel di Haiti[1], dove gioca un ruolo tutto sommato marginale all'interno della complicata mitologia vudù. Tuttavia, è quanto mai significativo che esso sia diventato una figura persistente dell'immaginario occidentale, e statunitense/hollywoodiano in primis[2].
Nella mitologia vudù[3], ovvero nel folklore haitiano, lo zombie è una vittima del Bokor[4], negromante in grado di parlare con i morti ed a metà fra uno spirito egli stesso ed un comune mortale, il quale ha il potere di dare la morte a qualunque persona e, all'occorrenza, di trasformarla in zombie. Il che può avvenire essenzialmente per due ragioni: o per vendetta o per assicurarsi uno schiavo fedele per l'eternità. È interessante il processo attraverso il quale il Bokor compie questo misfatto: egli individua una vittima, dopodiché si dirige a cavallo fino alla casa di questa, ne aspira l'anima accostando la bocca ad una fessura della porta, la intrappola in una bottiglia che provvederà a chiudere ermeticamente ed il gioco è fatto. Dopo pochi giorni la vittima, privata del suo spirito vitale, muore. La notte successiva alle esequie il Bokor potrà allora disseppellire il cadavere, chiamarlo per nome, costringendolo a rispondere con un cenno (dal momento che egli è il possessore della sua anima), e sniffare dalla bottiglia l'anima del malcapitato, concludendo così il rituale che lo trasformerà definitivamente in zombie.
Il Bokor si è così procurato uno schiavo perfetto, completamente acefalo e privo di volontà. Un corpo vuoto il cui principio organico è in possesso del nuovo padrone: un corpo eterodiretto dalla volontà del Bokor. Macchina perfetta.
Particolarmente interessante è la circostanza per cui lo zombie non dovrà mai mangiare né carne, né sale (il Bokor sfama i suoi schiavi con minestre di granturco e banane bollite), poiché in questo caso lo zombie riacquisterebbe coscienza della propria condizione di morto vivente e si ribellerebbe al padrone: la similitudine con la condizione dei veri schiavi d'America è troppo esplicita per poter vedere direttamente, in questo riferimento alla carne e al sale (caratteristiche universali della dieta dei padroni, ovvero dei ricchi possidenti che lasciano alle loro schiere di schiavi minestre di granturco, ovvero pane e acqua, e poco più), una denuncia della condizione dei neri in America. Piuttosto il precetto alimentare è una conseguenza del ruolo da schiavo svolto dallo zombie: qualunque schiavo, anche non-morto, deve evidentemente rimanere all'oscuro di ciò che si perde, non deve cioè mai assaggiare il cibo dei padroni, altrimenti acquisterebbe una coscienza (di classe?).
da "I Walked with a Zombie" di J. Tourneur
Nel clan Samedi, invece, si procede con un rituale più fine, poiché il morto viene rianimato versando una goccia del sangue del Baron Samedi[5], ciò che consente al non-morto di riacquistare coscienza, al prezzo, però, di rimanere sempre fedele al sangue del suo creatore.
Ovviamente, esiste una gran quantità di variazioni sul tema: cambiano, a seconda delle versioni, alcuni dettagli sul rituale (in una versione, ad esempio, il Bokor deve recarsi a casa della vittima cavalcando al contrario), o sulla figura del Bokor e così via. Ad ogni modo, il nucleo dell’immaginario relativo allo zombie è questo: lo zombie è uno schiavo non-morto creato ad hoc dal Bokor, privo di una propria volontà ed eternamente fedele al suo padrone – o meglio possessore. Per difendersi dagli zombie, se ne deve necessariamente tagliare la testa oppure bruciarlo disperdendone le ceneri in mare. Per prevenire il rituale del Bokor ci sono alcune precauzioni: sparare in testa al cadavere o rompergli l’osso del collo; cucirgli la bocca prima di seppellirlo, di modo che non possa rispondere alla chiamata del Bokor; oppure molto più semplicemente seppellirlo nei pressi della casa o in luoghi molto frequentati di modo che il Bokor non abbia il tempo di compiere il rituale.
In realtà, è molto probabile che la maggior parte di queste storie siano leggende nate al di fuori dell’ambito del vudù, come sue distorsioni o, ancor peggio, come una forma di pervertimento causato dallo sguardo razzista dell’occidentale. (Ma, per contro, non sarebbe possibile che il vudù, nel tentativo di rendersi accettabile e riconoscibile come religione ufficiale[6], abbia via via tentato di reprimere gli aspetti più oscuri del suo sincretismo inconscio, negando col tempo le versioni popolari più inquietanti: la negromanzia, i rituali stregoneschi e via dicendo?)
Il vero zombi non è in realtà altri che un celebrante posseduto da un’entità esterna, ovvero entrato in trance per poter ospitare una divinità. E allora da dove nasce il riflesso non-morto di questo posseduto? Dalla cattiva coscienza dell’occidentale? O dalla cattiva coscienza del vudù? O, molto più probabilmente, da un miscuglio delle due? (Si vede bene come qui, in questo punto di ribaltamento, deve prendere l’avvio l’interpellazione ermeneutica geisterphilosophich).
Per inciso, Zombie, nella mitologia Dahomey (l’originaria mitologia, o religione, del vudù) è un dio dall’aspetto di pitone, come ci fa sapere Filagrossi[7].
C’è, da ultimo, il riflesso dello zombie nello specchio fantasmatico dell’immaginario occidentale, che vede, evidentemente, catalizzati in questo scuro sostrato negromantico i propri spettri schiavistici, il proprio rimosso cadaverico – insomma lo scheletro che tiene chiuso nel suo armadio. Da ultimo, cioè: last, but not least, ovviamente.
Un servitore posseduto dal Baron Samedi
Non è dunque lo zombie in quanto tale che dev’essere interpellato nella convocazione geisterphilosophich: ormai è chiaro, non ha senso interrogare e vivisezionare il cadavere non-morto. Piuttosto, si tratta di evocarne il fantasma. Il fantasma del dio-pitone che riemerge cadavere nello spettro d’uno schiavo negro tradotto nelle Indie Occidentali e che bussa stolido alla porta dell’immaginario occidentale, proprio nel cuore, anzi, dell’industria immaginifica dell’Occidente: Hollywood. E non sarà neanche un caso che l’eterno sconfitto fantasmatico è, anche in questo caso, un serpente, archetipo per eccellenza, simbolo ambiguo della saggezza rimossa e rimacinata nella macchina psicanalitica del capitalismo mondiale (ma prima ancora del fallologocentrismo propedeutico al phallus exchange stardard mondiale).
E dovremmo liquidare come folkloristica la dittatura di Duvalier[8] ad Haiti? François Duvalier, noto come Papa Doc, ricorse proprio al vudù per rafforzare il suo potere, proclamandosi alto sacerdote, hougan dai poteri soprannaturali, facendosi passare per un’incarnazione di Baron Samedi (e comparendo spesso in pubblico con cappello a cilindro, marsina nera, occhiali scuri e sigaro in bocca), costituendo un corpo speciale di stregoni-poliziotto, i Tonton Macoutes (“uomini neri”), e diffondendo la convinzione che avesse fatto incetta dei suoi oppositori trasformandoli in una schiera di zombie. Dove agisce, qui, la distorsione? Nell’occhio dell’occidentale o nell’uso criminoso del “vero” vudù, ridotto da Duvalier a superstizione terroristica? E non sarebbe proprio quest’ultima lettura il sintomo del vero eurocentrismo razzista? Non è forse razzista ritenere che un intero popolo sia tanto superstizioso ed ignorante da credere alle fandonie di un pazzo che si crede il Baron Samedi? Tanto stupido da ignorare i veri precetti della sua stessa religione? Non dovremmo piuttosto avere il coraggio, una volta tanto, di accogliere le cose per quelle che si mostrano? Ecco: Duvalier era veramente l’incarnazione del Baron Samedi, altrimenti non si spiegherebbe come avrebbe potuto creare intere schiere di zombie. Di fatto, se non di diritto, egli aveva poteri soprannaturali.
E tutto questo ci porta ad evocare direttamente il fantasma inascoltato dello zombie. Come ogni fantasma, esso avrà da testimoniare, con la sua semplice presenza, di un nodo in primo luogo politico, irrisolto nella repressione inconscia. È giustizia, quella che reclama il fantasma. Ciò che non può reclamare direttamente lo zombie, in quanto guidato da una volontà esterna – dunque pacificato. Lo zombie non reclama, di fatto, nulla, asservito com’è al potere che lo assoggetta: esso è, per l’appunto, soggetto puro, privo di alterità fantasmatica, completamente svolto, estroflesso nel regime pubblico che lo governa. Lo zombie è ciò che non può essere fantasma di se stesso, che non ha pieghe o zone d’ombra, ciò che è interamente coincidente con sé. Lo schiavo puro, per l’appunto.
Evocarne il fantasma vuol dire ascoltarne nell’appello la voce silente di denuncia che batte sordamente alle porte del nostro orrore più recondito. Lo spettro dello zombie vocifera confusamente circa le paure più profonde della repressione secolare cui sono stati sottoposti i fantasmi d’Africa, i fantasmi dahomey, il fantasma del dio-pitone: lo zombie è lo schiavo cadaverizzato nell’assenza di ogni scarto dalla propria condizione di schiavitù. Lo zombie è la vittima definitiva della tratta degli schiavi: il negro completamente assoggettato dal Bokor (pur egli negro, evidentemente, come lo era Duvalier) al potere esterno, che ha perduto, cioè, quel residuo intangibile che è la propria sottrazione (“io sono uno schiavo, ma sono pur sempre libero, in un cantuccio, in una piega di me stesso, di sognare la libertà, sono pur sempre libero di non identificarmi totalmente con il mio essere schiavo”, “io sono schiavo, sono il fantasma di me stesso”).
Sarebbe troppo facile cedere alla tentazione di vedere in questo zombie un corpo svuotato della sua anima. In realtà, il fantasma dello zombie testimonia anche del nodo problematico, irrisolto, di qualunque dualismo, e tanto più del dualismo cartesiano. (Significativamente, il vudù prevede la coesistenza di due anime all’interno del corpo, o meglio di due corpi numistici, il grande angelo guardiano e il piccolo angelo guardiano: il grande è la parte più materiale e legata al corpo, abbandonandolo solo al momento della morte, mentre il piccolo è una parte molto più sottile, che può facilmente lasciare il corpo, come quando si sogna, e così può essere anche più facilmente soggetta agli influssi esterni, ovvero essere espropriata, ciò che rende possibile qualcosa come uno zombie.) Con lo zombie non siamo di fronte ad un corpo deprivato della propria anima, tutt’altro: è piuttosto un corpo completamente in balia di un piccolo angelo guardiano (anima) eterodiretto. Un corpo, prigioniero di un’anima espropriata. (Non riecheggia qui, forse, il Foucault di Sorvegliare e punire? Non realizza, forse, il Bokor, quella tecnica di ascesi che Mably tentava di applicare ai suoi detenuti? E perché dovrebbe essere ad Haiti superstizione contadina ciò che da noi è a principio della prassi carceraria moderna, ciò che Beccaria poneva a fondamento di una pena ispirata ai principi dell’umanismo illuminato?)
Ecco la denuncia che il fantasma dello zombie testimonia nel suo silenzio: l’orrore per il totale assoggettamento del corpo alla coincidenza con l’irreggimentazione biopolitica del sé.
Per questo la liquidazione del vudù superstizioso da parte della versione edulcorata del vudù ufficiale, tanto quanto la liquidazione del regime di Papa Doc a ricorso terroristico a questa stessa superstizione, è una nuova condanna a morte del negro fantasma dello zombie: è la repressione ulteriore dell’orrore radicato al cuore stesso dell’inconscio occidentale, ovvero l’uccisione, la cancellazione, dello scheletro che l’Occidente ha nascosto nell’armadio superstizioso di Haiti. L’Occidente vorrebbe, in fondo, negando il “falso” vudù del popolo haitiano – insieme col “falso” vudù del regime di Duvalier – negare quell’orrore che esso stesso ha fatto insorgere nella rivendicazione fantasmatica del negro vudù, dell’oscura superstizione popolare haitiana che spettralizza e dà voce alle vittime della cadaverizzazione e dell’assoggettamento coatto della cultura Dahomey. Uccisa due volte.
Solo per ritornare, però, ancora una volta, nella persistenza fantasmatica che alberga gli incubi dell’immaginario occidentale: spettro riflesso allo specchio dello schiavo bianco occidentale – il soggetto, reificato interamente nella megamacchina negromantica del megastore capitalistico, ovvero mercato mondiale. (E non è un caso che i Loa del vudù ritornano ancora nel cyberspace di Gibson, nel cuore stesso di quel Neuromante che governa i sogni cibernetici del profondo Occidente, succhiando il piccolo angelo guida dell’uomo bianco ed espropriandolo nell’irreggimentazione pubblica dell’informazione totale.)
Ecco che, nel cuore stesso del nodo filosofico più irrisolto (il dualismo cartesiano), il fantasma dello zombie torna ad agitare i sogni della Ragione dall’angolo ombroso del suo cono luminoso, a testimoniare, con la sua persistenza, la denuncia politica che sottende allo scacco, per mezzo dell’anima, del corpo cadaverizzato nello zombie che è il soggetto. Macchina ideale – consumatore puro – per il Bokor occidentale, schiavo perfetto per la megamacchina del capitalismo.
Veve del Baron Samedi


[1] Il libro che per primo ha contribuito ad introdurre il vudù nell’immaginario occidentale è stato quasi certamente W.B. Seabrook, The Magic Island, The Literary Guild of America 1929. L’isola magica sarebbe per l’appunto Haiti. Per un’introduzione al vudù si veda la pagina di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Vud%C3%B9.
[2] Per una panoramica sull’immaginario occidentale concernente gli zombie, e nella fattispecie sulla storia del genere cinematografico, risulta particolarmente prezioso A. Braumana, Zombie Movie: la storia, in “Hideout. Cultura dell’immagine e della parola” (http://www.hideout.it/index.php3?page=notizia&id=4505)
[3] Per un’introduzione allo zombie cfr. C. Filagrossi, Il libro delle creature fantastiche, Armenia 2002, pp. 496 ss.
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Bokor_(Vud%C3%B9).
[5] Il Baron Samedi (“Barone Sabato”) è il Loa traghettatore dei morti: cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Baron_Samedi.
[6] Il vudù è religione ufficiale in Benin, ed è comunque ormai entrata nel consesso delle religioni riconosciute ed istituzionalizzate: questa versione “ufficiale” del vudù fa piazza pulita di tutte quelle leggende che tanto hanno affascinato l’immaginario occidentale, negandole come distorsioni, a volte consapevolmente denigratorie, messe in giro allo scopo di delegittimare il vero vudù. Le famose bamboline, ad esempio, non sono altro che immaginette adoperate allo scopo di mediare tra l’uomo e la divinità. Ma non si legge qui, in controluce, quel che ogni Chiesa ha sempre fatto col proprio paganesimo: negare i rituali e le credenze popolari offrendo una versione edulcorata dei veri santi, dei veri rituali, dei veri dogmi, e così via?
[7] C. Filagrossi, op. cit., p. 498.
[8] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Fran%C3%A7ois_Duvalier

Diego Rossi

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