Bisogna ancora sottolineare il portato politico del film proposto nella seconda proiezione fantasmatica del laboratorio cinematografico di Geisterphilosophie (Dawn of the Dead di Romero). E svilupparne un'ermeneutica geisterphilosophich che ne interpelli il fantasma - il fantasma, cioè, dello zombie (ché non dobbiamo dimenticare che di questo si tratta), così come è convocato per mezzo del rituale evocativo imbastito da Romero stesso, che qui si tratta di appellare (o di ri-evocare in appello?).
Ordunque, schematizzando molto e riducendo all'osso le questioni, per evitare di appesantire ulteriormente la riflessione con il ripetere per intero il ciclo ermeneutico della Geisterphilosophie - che qui si dà per accordato, secondo le indicazioni già fornite nel Manifesto di fondazione della Geisterphilosophie, nella postilla al manifesto e soprattutto nel primo report del laboratorio (nonché, in verità, nell'impianto di moltissime riflessioni sparse qua e là nell'archivio), possiamo individuare almeno tre nuclei da estrinsecare, a partire dal report #2 del laboratorio (che qui, parimenti, si assume interamente come dato).
1. In primo luogo, si tratta di eviscerare tutta la forza dello scontro culturale che è sotteso al film. Lo zombie, in Romero - e per la prima volta, probabilmente nella storia del cinema - assume il ruolo fondamentale che ricoprirà poi canonicamente nell'immaginario horror della nostra cultura: ecco il fantasma dell'altro. Si noti che tutto l'inizio, abbandonati gli studi televisivi (per inciso, la televisione è presenza costante e significativa nell'intera pellicola), si svolge nel condominio-dormitorio di portoricani, dove è ferocemente sottolineata la lotta tra vivi e morti ovvero tra bianchi e sporchi negri (Miguelito). E del resto è l'ambiente sincretistico del cristianesimo-vodoo del vecchio prete (celebre la sua battuta: «Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere. Altrimenti si perde la guerra») il terreno di coltura ideale di questo strano morbo che d'improvviso irrompe sulla scena. Ecco: l'irruzione dei fantasmi della cultura americana, il fantasma dell'Altro - negro, portoricano, straccione etc. - che bussa alle porte del megastore per godere di quella non-vita che lo abbaglia e lo irretisce.
Effetto di cadaverizzazione dell'alterità - ecco lo zombie - attraverso la presa, invero ferrea, sull'anima del colonizzato. Per intenderci: Fanon - la violenza dei francesi in Algeria fu in primo luogo la violenza psicologica di un popolo che ha inoculato la sua anima, ovverosia la sua cultura, nel corpo cadaverico del vinto. Vogliamo l'anima, diceva Mably - quell'anima nella quale Foucault ravvisò non a torto la principale prigione del corpo.
2. Lo scontro tra non-morte e non-vita, riflesso di un tale scontro culturale, mostra in fondo tutta la posta in gioco in questa conflittualità surreale: i non-morti che bussano alla porta alla fine non hanno nulla di cui godere. Certo, essi vengono attratti dall'odore della vita che intrasentono nello stile di vita americano, che subodorano celato in questo tempio del consumo a vetri antiproiettili che è l'ipermercato (iper-mercato: iperbole della teoria del mercato).
Ma: anche quando i non-morti sfondano, conquistano infine il mega-store, ecco che essi non hanno nulla di meglio da fare che aggirarsi nel ricordo di ciò che facevano in vita - ovvero imitare come colonizzati senz'anima (cadaveri rianimati, selvaggi umanizzati) il (non)vivo americano.
Non-vivo: ecco l'americano che si rifugia nella grassa placenta dell'iperconsumismo di mercato. Chiusura, questa, che crea automaticamente (involontariamente?) il desiderio dell'altro, quel desiderio che l'altro è forzato a provare allorquando gli diciamo "no, tu non puoi giocare!". (Lasciami entrare è il titolo di un recente film, molto sublime, sui vampiri). Desiderio però che rimane inappagato, necessariamente (l'abbiamo provata tutti quella frustrazione di giocare inappagati con chi non ci vuole fra i piedi - no?).
(Piccola nota al margine, a proposito dell'economia declinata in chiave geisterphilosophich come nostalgia: la teoria di mercato prevede, com'è noto, alcuni assiomi fondamentali affinché si possa parlare di mercato perfettamente concorrenziale. Tra questi, sorprendentemente - ma mica tanto - spicca l'assioma di non saziabilità, ovverosia si suppone che un consumatore, all'occorrenza, preferirà sempre consumare una quantità maggiore di una data merce, la quale di passaggio ricordiamo che - sempre all'interno della teoria di mercato - deve essere supposta perfettamente omogenea. Senza dilungarci troppo su questioni squisitamente tecniche, sono proprio alcune delle condizioni che nell'iper-mercato di Romero vengono "accidentalmente" realizzate - che non sia un effetto dell'economizzazione della vita questo strano morbo che prende d'improvviso ad attanagliare la vita di consumatori ridotti a zombie: homo œconomicus = homo cadavericus? Si comprende, allora, come nella Geisterphilosophie si tratterà più solo di una nostalgia, un male per l'oikos perduto, la terra, la Terra - la vita. Ma su questi punti ci sarà modo di tornare in altra sede.)
Dunque si diceva: questo desiderio rimarrà inappagabile, in quanto innanzitutto è proprio l'effetto della barricata dei vivi a generare il tentativo di penetrarne la barriera. Ma l'insaziabilità è anche quella stessa che si riscontra in vita. È la vita dei vivi di qua dalla barricata, alla fin fine, a non funzionare.
Anzi, la non-vita condotta dai rifugiati è esattamente speculare alla non-morte di quelli di là. Scena mirabile: lo specchiarsi stolido e ingenuo, al limite tenero, dello zombie e della ragazza separati dalla vetrina del negozio, rincretinimento pietoso della ricca anima bella di fronta al lavavetri a naso in sù. Ma è pur sempre un reciproco specchiarsi: ai non-vivi di qua non resta alla fine che aggirarsi indolenti nell'iper-mercato a memoria di ciò che facevano in vita, o meglio a memoria di ciò che presuppongono sia il desiderio d'aggirarsi indolente dello zombie. C'è insomma in gioco tutta la dialettica del desiderio per cui l'imitato si ritrova ad imitare ciò che suppone l'imitante vorrebbe imitare pur di stringere fra le mani l'ambito desiderio d'esser imitato. Il non-vivo si ritrova schiavo della stessa non-vita nella quale si rifugia per arginare costantemente la non-morte - o paura della morte. O paura dell'Altro.
3. Non a caso, gli unici superstiti tra i rifugiati sono il negro e la donna - i grandi rifiutati, i fantasmi di sempre che albergano al cuore della società americana, i fantasmi di quell'Altro felicemente ricacciato fuori dall'imponente giostra dell'ipermercato - ricacciati cioè da quel mercato iperboreo o paradiso artificiale che è il paese di cuccagna del consumatore cadaverico.
Ecco allora, all'interpellazione geisterphilosophich, l'accusa silente che lo zombie rivolge minaccioso allo spettatore teoretico. Allo specchio fantasmatico, rifugiato di qua dalla linea, egli si sorprende non-morto consumatore, nell'assillo che lo zombie ambisca non ad altro che a "fare ciò che era abituato a fare in vita", mostrando il rovescio di quella non-vita che tutti conoscono bene quando, insoddisfatti, insaziati, riemergono dalle fauci fotosensibili del vetro iper-consumistico.
Alla fine, non c'è che da sperare di esser ricacciati dalla folla solitaria di individui affamati di nulla, come negri, come donne incinte, corpi estranei rigettati dagli anti-corpi del corpo macilento e decomposto del cadavere del mondo ridotto a mercato.
Diego Rossi
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