venerdì 22 marzo 2013

Parlo zittamente

C.D. Friedrich - Il viandante sul mare di nebbia

L’autismo è una sfida. Si manifesta, innanzitutto, nel silenzio. E questo silenzio è una sfida e una pro-vocazione. Ma non è mai un rifiuto, come noi, invece, per lo più, tendiamo a considerare. Piuttosto, quel silenzio è una sfida lanciata al nostro rifiuto. Siamo noi a rifiutare quel silenzio - a negare la voce che risuona in quella pro-vocazione.
«Noi cosiddetti normali non abbiamo difficoltà ad attribuire significati alle cose, alle persone, alle parole, alle espressioni, ai comportamenti degli altri e così via. Il mondo ci appare normale così come i nostri sensi ce lo consegnano, infatti i sensi inviano al cervello informazioni e messaggi fondamentali per la crescita della persona. Nell’autistico tutto questo non avviene e il soggetto si trova spesso a vivere in un mondo incomprensibile, estraneo, oscuro e confuso, per non dire minaccioso».
In questa spiegazione si dà una prima indicazione, in negativo, per ascoltare l’autismo. Ciò che l’autismo non è: piattezza della normalità, banalità del quotidiano, informazione e messaggio. Di contro, Federica Aramu ci dà un’indicazione in positivo: «La mia libertà latente, lascia clandestinamente spazio alla capacità di navigare nel tempestoso mare della mia fantasia, la quale, crea venti deleteri al mio clamoroso silenzio: samaritano massacro, che mi assolve sistematicamente dalla quotidianità, naufragando però verso derive dannatamente inquietanti. Volgo solitamente maree di allusioni alla mia malattia cercando continue vie di fuga, ma la cosa più logica da fare, sarebbe continuare a vivere negligentemente nel salomonico attonito labirinto; quel labirinto che stenta a trovare l’uscita».
È il labirinto che stenta a trovare l’uscita. In verità, è la normalità che rifiuta l’ascolto. È la normalità ad aver rinunciato allo spazio dell’ascolto. Ed è questa l’accusa che il silenzio dell’autismo ci rivolge. E che la normalità massacra con candida, samaritana, pietà.
Il silenzio è un’eco. Noi non l’avvertiamo perché parliamo, coprendo il silenzio entro cui risuona quell’eco. La nostra parola copre il silenzio perché è sempre una parola piena: comunica, vuol dare informazioni, vuol es-primere, e quindi com-prime il silenzio. Samaritano massacro.
Solo la poesia è un dire silenzioso. È un dire vuoto ― la poesia non comunica mai informazioni, quando è poesia. La poesia si rifiuta di comunicare. Parla zittamente, come l’autismo.
La poesia è un dire silenzioso perché non è un blocco pieno, non vuole es-primere nulla ma, come un dire cavo, lascia risuonare un’eco che accenna. E in questo accenno pro-voca all’ascolto. Perché vi sia un ascolto, deve darsi il silenzio. «Parlare zittamente» è dunque l’accenno poetico ad un ascolto.
Ma cosa è da ascoltare? Definire la cosa da ascoltare, come definire la cosa del pensiero, ovviamente, vorrebbe dire rifiutarlo, ancora una volta. Occorre solo ascoltarlo e lasciar risuonare la pro-vocazione che si manifesta in un simile parlare zittamente. Poesia.

Speranze

Passando per la piena papere e pesci lasciarono la loro languida laguna per andare molto lontano, laggiù, nel mondo magico della normalità;
lasciarono solo il triste acquitrino
per andare piuttosto lontano,
pensando di perdere poco.
Detriti accumulati senza attenzione
che a guardarli mostravano la condizione misera di che fa cose senza amare se stesso.

Mortificanti ammassi di mattoni senza meta,
che coprivano massicci davanti alla caduta delle mareggiate, codici segnalati come assoluti
e catene dolorose nascoste come deliziose torte ciniche senza rimorsi,
serpenti a sonagli senza larve che davano alla luce sterchi ducali
utili solo a eruttare vomiti drenanti di superficialità.
Morenti papere e pesci si ritrovarono colmi di moraleggiante catrame perdendo sapientemente la loro ingenuità.
(Federica Aramu)

Siamo in grado di ascoltare questa accusa e questo annuncio di speranza? Siamo in grado di ascoltare l’eco di quella piena? Siamo pronti per comprendere che, quelle papere e pesci, siamo noi, che, «colmi di moraleggiante catrame» e senza amare noi stessi, abbiamo abbandonato l’acquitrino per il «mondo magico della normalità»?
Questo acquitrino ricorda, da vicino, il più famoso stagno della storia della poesia. Anche lì, ne va di un ascolto. Anche lì, si tratta di volgere l’attenzione verso un suono cui accenna il dire silenzioso, il dire della poesia.

Antico stagno
Una rana si tuffa
Rumore d’acqua
(Matsuo Bashō)

Diego Rossi

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