C.D. Friedrich - Il viandante sul mare di nebbia |
L’autismo è una sfida. Si manifesta, innanzitutto, nel
silenzio. E questo silenzio è una sfida e una pro-vocazione. Ma non è mai un
rifiuto, come noi, invece, per lo più, tendiamo a considerare. Piuttosto, quel
silenzio è una sfida lanciata al nostro rifiuto. Siamo noi a rifiutare quel
silenzio - a negare la voce che risuona in quella pro-vocazione.
«Noi cosiddetti normali non abbiamo difficoltà ad
attribuire significati alle cose, alle persone, alle parole, alle espressioni,
ai comportamenti degli altri e così via. Il mondo ci appare normale così come i
nostri sensi ce lo consegnano, infatti i sensi inviano al cervello informazioni
e messaggi fondamentali per la crescita della persona. Nell’autistico tutto
questo non avviene e il soggetto si trova spesso a vivere in un mondo
incomprensibile, estraneo, oscuro e confuso, per non dire minaccioso».
In questa spiegazione si dà una prima indicazione, in
negativo, per ascoltare l’autismo. Ciò che l’autismo non è: piattezza della
normalità, banalità del quotidiano, informazione e messaggio. Di contro,
Federica Aramu ci dà un’indicazione in positivo: «La mia libertà latente, lascia
clandestinamente spazio alla capacità di navigare nel tempestoso mare della mia
fantasia, la quale, crea venti deleteri al mio clamoroso silenzio: samaritano
massacro, che mi assolve sistematicamente dalla quotidianità, naufragando però
verso derive dannatamente inquietanti. Volgo solitamente maree di allusioni
alla mia malattia cercando continue vie di fuga, ma la cosa più logica da fare,
sarebbe continuare a vivere negligentemente nel salomonico attonito labirinto;
quel labirinto che stenta a trovare l’uscita».
È il labirinto che stenta a trovare l’uscita. In verità,
è la normalità che rifiuta l’ascolto. È la normalità ad aver rinunciato allo
spazio dell’ascolto. Ed è questa l’accusa che il silenzio dell’autismo ci
rivolge. E che la normalità massacra con candida, samaritana, pietà.
Il silenzio è un’eco. Noi non l’avvertiamo perché
parliamo, coprendo il silenzio entro cui risuona quell’eco. La nostra parola
copre il silenzio perché è sempre una parola piena: comunica, vuol dare
informazioni, vuol es-primere, e
quindi com-prime il silenzio. Samaritano massacro.
Solo la poesia è un dire silenzioso. È un dire vuoto ― la
poesia non comunica mai informazioni, quando è poesia. La poesia si rifiuta di comunicare. Parla
zittamente, come l’autismo.
La poesia è un dire silenzioso perché non è un blocco
pieno, non vuole es-primere nulla ma, come un dire cavo, lascia risuonare
un’eco che accenna. E in questo accenno pro-voca all’ascolto. Perché vi sia un
ascolto, deve darsi il silenzio. «Parlare zittamente» è dunque l’accenno
poetico ad un ascolto.
Ma cosa è da ascoltare? Definire la cosa da ascoltare,
come definire la cosa del pensiero, ovviamente, vorrebbe dire rifiutarlo,
ancora una volta. Occorre solo ascoltarlo e lasciar risuonare la pro-vocazione
che si manifesta in un simile parlare zittamente. Poesia.
Speranze
Passando per la
piena papere e pesci lasciarono la loro languida laguna per andare molto
lontano, laggiù, nel mondo magico della normalità;
lasciarono solo il
triste acquitrino
per andare
piuttosto lontano,
pensando di perdere
poco.
Detriti accumulati
senza attenzione
che a guardarli
mostravano la condizione misera di che fa cose senza amare se stesso.
Mortificanti
ammassi di mattoni senza meta,
che coprivano
massicci davanti alla caduta delle mareggiate, codici segnalati come assoluti
e catene dolorose
nascoste come deliziose torte ciniche senza rimorsi,
serpenti a sonagli
senza larve che davano alla luce sterchi ducali
utili solo a
eruttare vomiti drenanti di superficialità.
Morenti papere e
pesci si ritrovarono colmi di moraleggiante catrame perdendo sapientemente la
loro ingenuità.
(Federica Aramu)
Siamo in grado di ascoltare questa accusa e questo
annuncio di speranza? Siamo in grado di ascoltare l’eco di quella piena? Siamo
pronti per comprendere che, quelle papere e pesci, siamo noi, che, «colmi di
moraleggiante catrame» e senza amare noi stessi, abbiamo abbandonato
l’acquitrino per il «mondo magico della normalità»?
Questo acquitrino ricorda, da vicino, il più famoso
stagno della storia della poesia. Anche lì, ne va di un ascolto. Anche lì, si
tratta di volgere l’attenzione verso un suono cui accenna il dire silenzioso,
il dire della poesia.
Antico stagno
Una rana si tuffa
Rumore d’acqua
(Matsuo Bashō)
Diego Rossi
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