Grindhouse - Planet Terror di R. Rodriguez, colore, 105 min., USA 2007.
La non-morte è albergata da un profluvio di figure archetipiche che si rilanciano nelle diverse tradizioni e culture. Altrove (LDL - Undead) si è detto della possibilità di distinguere, al suo interno, due principali forme o categorie di manifestazione del non-morto: lo spettrale e il cadaverico.
Allo spettrale appartengono: il fantasma, lo spettro, lo spirito, la banshee, il poltergeist, l'apparizione, il fuoco fatuo, la presenza (ovvero manifestazione), l'incubo (demone), la possessione, l'anima (del morto - il sogno, la smorfia), il doppelgänger, l'ombra.
Al cadaverico: lo zombie, lo scheletro, la mummia, il lich, il revenant, il ghoul, il nosferatu, il costrutto (Frankenstein), il vampiro.
Tra queste vi sono alcune figure particolari, al limite improprie: i doppelgänger sono copie spettrali di una persona vivente, dunque fantasmi, ma non necessariamente non-morti; il fuoco fatuo è un fenomeno, più che manifestazione o presenza fantasmatica (è un reale fantasmatico); l'incubo è un demone ma che si presenta come fantasma. Ed in verità tali figure liminari sarebbero forse altrettanto degne d'analisi che non le canoniche e ben definite, come lo zombie o lo spettro, poiché attestano di una profondità semantica della non-morte che è ciò proprio che la rende luogo eminente della Geisterphilosophie.
Così anche il vampiro meriterebbe addirittura l'indicazione di una categoria a sé stante - il vampirico - laddove esso è manifestazione, più che di un cadavere ri-animato, di un corpo animato, per quanto ancora corpo cadaverico, e diviene dunque simbolo della non-morte stessa, ciò che segna la legatura tra spettrale e cadaverico e come uno specchio nel quale esso stesso, come è noto, non si riflette.
Ma proprio per mezzo di queste figure liminari si può notare un aspetto peculiare dell'ermeneutica geisterphilosophich (che si vedrà ritornare più volte): si deve infatti subito segnalare come nella Geisterphilosophie si tratti sempre di un continuo rovesciamento e, per così dire, di un gioco di specchi.
Le due categorie sembrano infatti distinte immediatamente e con ogni evidenza nel dualismo tra anima (lo spettrale) e corpo (il cadaverico). Ma subito qui si attua un ribaltamento di prospettiva e forse un doppio ribaltamento - o salto mortale che dir si voglia: in realtà è il fantasmatico a mostrare un corpo puro, svuotato di mente - mera presenza, appunto. Laddove il cadaverico è contraddistinto piuttosto dalla presenza di una volontà che interviene dall'esterno su un corpo morto. Il vampiro sarà appunto il personaggio chiave per sorprendere in atto un simile ribaltamento (e si vedrà, all'occorrenza, in che senso).
Per il momento, si tratta di andare a vedere come agisce la figura dello zombie nell'immaginario cinematografico - ciò che in qualche modo tasta il polso dell'immaginario collettivo dell'Occidente attuale.
Planet Terror è il film che fa il punto, per così dire, della cinematografia di serie B sul tema dello zombie, accogliendo in sé la vastissima e variegata gamma delle proposte filmiche - ed in particolare dei film d'exploitation degli anni Settanta, realizzando alla fine una sorta di canone, quasi un archetipo dello stereotipo di genere, o generico - in stile Il bello, il brutto e il cattivo di Leone, per intenderci.
È interessante allora registrare le reazioni suscitate da questo film, perché appunto per questa via è possibile intendere ciò che lo zombie in quanto tale ha da dirci, convocandolo quindi a testimoniare, secondo l'ermeneutica geisterphilosophich, circa l'accusa che viene mossa allo spettatore vivente in quanto vivente teoretico.
Ecco allora quanto emerso in questo primo incontro laboratoriale.
In prima istanza è quanto mai significativo che sia emersa sin da subito un'esigenza che si ricollega direttamente alle prime esperienze dell'attività laboratoriale del MIC: con il LAV, infatti, i primi laboratori e le prime riflessioni erano legate alla violenza, ciò che si è imposto subito come tema di riflessione e banco di prova della Geisterphilosophie che è emersa proprio a partire dalle esigenze filosofiche che i laboratori avevano contribuito ad individuare.
Un'esperienza significativa, tanto più in quanto ha contribuito a saggiare la Geisterphilosophie nel suo esercizio ermeneutico. Sicché si può immediatamente registrare una doppia violenza, ovvero una dualità della violenza.
In prima istanza, è lampante la violenza dello spettacolo. Lo spettatore ne è colpito ed in fondo offeso: il film (splatter) è di una violenza parossistica che fa evidentemente violenza allo spettatore. Se poi tale operazione susciti o meno un effetto estetico è necessariamente lasciato al gusto personale: che sia arte o meno, che sia bello o brutto, è una questione eminentemente estetica - dunque, come è noto, soggettiva. L'osservatore allora interroga il film sulla violenza, il quale ha ben poco da dire, se non reiterare la violenza ad un livello tale da esorcizzarla e, per così dire, normalizzarla - sicché pare che l'effetto voluto sia semplicemente quello di elevare la violenza ad un livello di spettacolarizzazione tale da assuefare il pubblico: effetto catartico della scena teatrale, ovvero della teoresi o-scena che, come è noto, nel cinema hollywoodiano raggiunge il suo climax spasmodico. L'effetto di tale anestetizzazione è evidentemente deplorevole e suscita immediata indignazione - riprovazione dello spettatore teoretico. E riprova della scadenza estetica del film: la teoresi inferisce il giudizio estetico - è cattivo gusto. All'interrogatorio, dunque, il film crolla seduta stante, ed il giudizio di colpevolezza è anticipato nell'ammissione.
Ma in una tale ammissione di colpevolezza ecco riecheggiano fantasmi. La sottile pellicola filmica ne è disturbata, e presto il concavo si rovescia nel convesso. Convocato ad av-vocare la causa fantasmatica, il Geisterphilosoph non può che chiamare in causa il soggetto teoretico - il pubblico spettatore - con-vocando lo zombie per interpellarlo a testimonianza della violenza o-scena. Ma si badi: come era d'aspettarsi, nel gesto d'evocazione si tratterà d'interpellare in verità non altri che il fantasma d'uno zombie - giacché appunto non abbiamo che una proiezione di fantasmi, un'istorìa fantasmagorica intramata in pellicola d'apparizione [definizione geistlich della cinematografia, nda]. In controluce, rispetto a tale fantasmagoria, abbiamo allora la possibilità di evocare il fantasma implicato in questa proiezione - nella fattispecie: lo zombie.
E ciò di cui testimonia questo spettro di zombie è immediatamente un atroce atto d'accusa nei confronti dello spettatore pubblico - la silenziosa accusa che sempre lo spettro rivolge nei confronti di chi lo guarda. E non c'è nemmeno da meravigliarsi: lo spettatore infatti non può che rimaner sorpreso nell'atto stesso di veder riflessa la propria violenza. È l'inquietudine (unheimlich fantasmatico) che sempre sorprende il soggetto osservante nella propria cosciente integrità e che gli rigetta in corpo il fantasma di ciò che ha rinnegato - negando ascolto al niente ch'egli è. Sicché ritorna dall'oltretomba haitiano lo spettro dello zombie ad agitar le fantasie notturne dell'incoscienza occidentale.
Ecco allora il rivolgimento ermeneutico: per cui, ad ascoltare la testimonianza evocata, la Geisterphilosophie avrà l'opportunità d'auscultare l'affezione di violenza dell'inconscio collettivo. Sicché si ritorce l'accusa nella violenza dello spettatore, cioè nella duplice violenza dell'interrogatorio teoretico e dell'altra, indefessa e stolida, dell'esteta passivo, anestetizzato nell'Erlebnis estetico che lo rende mero soggetto occhiuto ed osservante violenza. Si sorprende anestetizzato a sogghignare allo splatter di zombie scoppiati, posticcio effetto speciale del grindhouse adolescenziale, e a provare indifferenza per la morte violenta dell'alterità bellica nella contemporanea empatia patita per la morte sanguinolenta d'un cane - riflesso fantasmatico dell'atroce anestetizzazione di fronte allo spettacolo afghano (o vietnamita, per ricordare l'archeologia interiore del genere zombie) riattualizzata a piccole dosi d'orrore quotidiano e in pillole di compatimento pubblico per i nostri morti. Si sorprende, ancora, lo spettatore, ad agire quotidianamente la violenza telecronistica, ad assistere imberbe e passivo allo spettacolo quotidiano della morte del mondo - meglio: alla sua malattia tele-cronica ovvero alla sua non-morte. Ed infine assiste sorpreso, inebetito anche, all'inaccettabile spettacolo della propria morte.
Ed ecco allora il rifiuto: la violenza ultima del pubblico spettatore, ovvero soggetto teoretico, che nell'interrogatorio coercitivo (implacabile logica del terzo escluso) compie il tentativo disperato e patetico di richiudere, rianestetizzando a massicce dosi di DC2, la ferita aperta e condannare quindi all'inferno (rigettare di là dallo schermo) l'inquietante testimonianza fantasmatica del sé stesso cadaverico - zombie. Al limite, si suppone nella teoria dispiegata, quando il mondo sarà infine assalito dal suo fantasma - quando le voci di là saranno non oltre silenziabili - vi sarà pur sempre la possibilità di trovar rifugio turistico in quel di Cancun, con le spalle all'oceano a difendersi dall'orrore che avanza (ed il telefonino raggiungibile).
Questi i capi d'accusa che il monstrum cadaverico rivolge nella sua silenziosa testimonianza. In essa indubbiamente riecheggiano i fantasmi del Vietnam, i fantasmi di Bosnia e di Cecenia non che quelli iraqeni e afghani. Ma anche le vittime invisibili di una società che miete cadaveri per esporli al pubblico ludibrio: ovvero gli zombie di un cibernetico negromante (quindi neuromante) che ri-anima corpi morti per gettarli sul palcoscenico del mondo, per allestire eserciti non-morti per l'arrogante guerra al terrore (al rimorso terroristico dell'inconscio collettivo), o ancora per ammaestrare un pubblico non-morto di voraci consumatori.
Rigor mortis di una Guerra Fredda consumistica, combattuta da un esercito non-morto al servizio di morti viventi contro vivi morenti. Terno secco sulla ruota fantasmatica del gran carro del Mondo.
E questo è quanto.
Morituri salutant.
Diego Rossi
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