Suspense (titolo originale: The Innocents), di J. Clayton, 100 min., b/n, GB 1961.
Suspense di J. Clayton ci inserisce a pieno regime nell’analisi del fantasma. Le considerazioni riportate sono date in ordine sparso e provenienti dai vari partecipanti al laboratorio cinematografico. I titoli, nel libro “Giro di vite” in riferimento allo svolgimento iperbolico della trama, all’accumularsi di piani di lettura, al vertiginoso approdo alla scena madre finale che vede coinvolti la giovane signorina Giddens ed il bambino del quale deve prendersi cura.
Nell’originale in inglese “Gli innocenti”, parola casella-vuota che gira nella testa dello spettatore, parola scacco applicabile praticamente ad ogni singolo personaggio ma forse a nessuno: gli innocenti sono i bambini, così carichi di presagi negativi e comportamenti ambigui? Gli adulti? La governante che pare non essersi accorta di nulla in tutta la sua vita nella sinistra casa di campagna? La giovane istitutrice alla sua prima esperienza lavorativa e forgiata da un’educazione religiosa e positivista che si limita a perpetrare anche se con risultati disastrosi? O infine lo zio assente o ancora di più i genitori dei due ragazzini morti in un tragico incidente? Tanto radicale è la confusione di ruoli che regna nella trama che persino i due tragici e violenti amanti non sembrano essere fuor di sospetto in tema di innocenza. In effetti tutto il gioco sta lì: di chi è la colpa? Su chi far ricadere il ruolo preciso di innocente? Ogni personaggio si specchia quindi in altri e da questo complesso gioco di relazioni deriva una propria identità, ogni personaggio ha uno o più speculari: il bambino con la sorella e con lo zio e con il padre e con il giardiniere (serie infantile e maschile), l’istitutrice con la precedente istitutrice, con la governante e con la madre morta dei bambini e con il padre pastore (serie famigliare e maschile e femminile sessualizzate), la bambina con la vecchia istitutrice e la madre, la signorina Giddens (serie femminile o femminile sessualizzata), lo zio assente con le figure mancanti tutte e così via in un gioco di rimandi volto a creare infinite possibili combinazioni di relazioni, a creare scenari completi ed inesauribili, ad articolare i passaggi di trama come passaggi di ruolo in una partita a scacchi che sostituisce lo svolgimento sequenziale degli eventi per creare ed inscenare una metafora teatrale che sembra essere il naturale punto di approdo del fantasma.
E proprio qui i fantasmi sembrano essere gli innocenti stessi, le identità giocate e mischiate nello spazio sterminato della casa con giardino (e sempre le case dei fantasmi, in Shining e anche in Fantasmi a Roma, sono enormi e sproporzionate per i piccoli drammi della famiglia ristretta, sempre sono chiamate in gioco potenze storiche ed ataviche, oltre che continui giochi di presenze).
Infine titolo italiano e trascurabile “Suspense” che sembra richiamare più ad un risultato nervoso che ad una lettura sostanziosa.
A questo continuo gioco di presenze e rimandi ed amplificazioni ed associazioni temporanee tra figure sembra rimandare l’ambiente del giardino: la natura fornisce un tramite forte per le apparizioni tramite illuminazioni accecanti del Sole, echi riverberati all’infinito, raddoppio di voci, rumori costanti. Il sottofondo sonoro è impressionante e costruisce, per la presenza costante ed ostinata di dettagli, un costante svolgimento parallelo e strettamente sensoriale del film.
E qui sono proprio le energie ignote del femminile ad essere richiamate in gioco, come nel recente Antichrist e la loro saldatura con la natura: la bambina carica di premonizioni sul futuro, la signorina Giddens guidata da una sacra ricerca di una verità tutt’altro che evidente, la saggia (?) governante che lascia tacere eventi decennali e li lascia sopiti per evitare traumi ai bambini, l’istitutrice suicida che si lascia tentare dal banale spettacolo dell’inserviente ubriaco. Le figure maschili attengono più all’ordine di cose del mondo (alcol, ricchezze, mondanità) sociale.
Il vampirismo del bacio della Giddens al bambino ormai morto, bacio scambiato con passione verso il cadavere di un bambino: oggetto doppiamente de-sessualizzato che ritorna però in gioco nell’ipotesi di una non sopita possessione vampirica intesa come volontà di sapere, volontà che sempre anima la Giddens nella sua ricerca affannosa del “cosa è successo”.
Incrocio della serie vocale: voci, poesie, suoni, parole, confessioni, bisbigli, rumori sulla mancanza della serie visiva. Tutto il gioco nasce da ciò a cui non si è assistito, dal fantasma degli eventi la cui ricostruzione (a tratti redentrice, a tratti clinica e morbosa) non può che passare per una testimonianza giocata sul corpo degli unici presenti agli eventi, veri testimoni, i bambini.
È tutto un rituale di invocazione e si sbaglierebbe a pensare che la Giddens evochi i fantasmi dei bambini: ella evoca invece i suoi fantasmi. In uno scontro letale di passati l’evocazione del suo sopravanza i corpi dei bambini ed il loro mondo fantasmatico (ben più traumatico di quello dell’istitutrice) portandoli alla follia/morte. Una lotta di famiglie, insomma.
Elia Ramonti
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