Pa-ra-da, di M. Pontecorvo, colore, 100 min., Italia 2008.
I confini, i limiti sono luoghi dell’esistenza, tracciati dell’immaginazione, che protegge e rassicura dalla mancanza di figurazione, dall’assoluto dello sconfinato che lo sguardo non può abbracciare. “Al limite”, si dice quando si vuole disegnare la lunghezza del raggio che definisce lo spazio di ciò che si avverte come possibile per sé, descrivibile dalle parole che si conoscono, che si è capaci di pronunciare e di comporre, per raccontare mondi che si sognano o si progettano. Prima del limite puntuale o di quello che tende all’infinito tutto è possibile poiché dicibile, dopo lo sconfinamento il senso si perde, le direzioni si moltiplicano e confondono, l’inversione, la distruzione, l’annullamento, la scomparsa... tutto il possibile non è dicibile e ciò che è immaginabile è sempre dentro un corpo di parole. Il limite oltre il limite non si pensa mai, se non appiattendo il primo sul secondo, retrocedendo dall’orizzonte che nasconde al confine che si sente. Il confine, nel senso di quell’in between space di cui scrive Homi Bhabha, diventa spesso un luogo di elaborazione di violenza perché, nel tentativo di espandere il dicibile, il visibile aggredisce l’invisibile che trama l’esistenza.
La non-vita, gioca con la vita. L’una inganna l’altra, la contamina e la svuota per metterla sempre, ancora una volta al cospetto della domanda di senso, per interrogarla sull’intensità o l’assenza del sentire, per chiederle di prender forma, di definirsi. E’ come il gioco di un mimo davanti ad un labirinto di specchi.